Roby, il Giullare di Siena (ricordo di un amico)

mattaglia

La dannazione di chi, come me, è figlio unico, è quella di passare la vita a cercare dei fratelli. Il vantaggio è quello che, in questo caso, puoi permetterti di scegliere. Pensate ad Abele quanto avrebbe preferito essere figlio unico o la nostra senesissima Santa Caterina, 25esima di 26, tra fratelli e sorelle. Molto meglio stare tra i lebbrosi che in una casa coi letti a castello a dieci piani, direi.

Io nel corso della mia vita, di fratelli e sorelle, ne ho trovati alcuni. E li ho scelti con attenzione.

Uno di questi si chiamava Roberto Ricci. Ma tutti lo chiamavano Roby. Per un bel po’ siamo stati dei gemelli diversi. Diversi per età, lui era molto più grande e io ero quello più adulto. Diversi per talento: lui aveva una voce che copriva un’estensione da Mina a Mario Biondi, io invece mi diverto a giocherellare con le parole, ma quelle scritte. Eravamo diversi anche per aspetto fisico: lui alto, bello e di gentile aspetto, io no.

1370337324237

Quando sono nato, lui aveva già l’età del motorino ma progressivamente ci siamo ritrovati ad essere coetanei. Non so se ho corso troppo io o se si è fermato lui ad aspettarmi. Il fatto è che, in una città come la nostra, è possibile anche questo. A Siena coetanei si diventa. Basta condividere qualcosa di grande come le passioni. Per noi le passioni comuni erano la Contrada (l’Aquila), le Feriae Matriculaum e la voglia di fare divertire gli altri.

Roby aveva una caratteristica che nessuno in questa città riesce ad avere. Era un giullare. A chi come me per passione e anche per lavoro, racconta storie, è noto che negli archetipi della narrazione esistono molte figure che creano un percorso che è possibile ritrovare in ogni storia, dall’Odissea al Signore degli Anelli, passando per Pinocchio. Si chiama “Il viaggio dell’Eroe” e può essere raffigurato come un cerchio. Anche la nostra vita funziona e si sviluppa più o meno così. Si parte dal primo ruolo: “il bambino innocente”, e dopo una serie di prove, e passando di ruolo in ruolo (l’orfano, il guerriero, l’esploratore, ecc.), si arriva alla matura padronanza di se stessi nel ruolo di “re”. Molti si fermano qui e vedono in quel punto di arrivo un vero e proprio successo: l’età della pensione di chi ha già dato tutto e ora può governare il tempo che gli resta da vivere. Poi ci sono alcuni che vanno oltre. E qui c’è la dodicesima figura, il dodicesimo archetipo narrativo: “il Matto”, “il Giullare”. Quello che la società tende a spingere il più lontano possibile, ma che il Re vuole sempre vicino a sé perché gli ricorda come si dovrebbe vivere davvero.

Se si disegna il viaggio dell’eroe come un cerchio che parte dall’innocenza dell’infante e termina nella padronanza di se stessi del Re, il Giullare si posiziona proprio lì, tra il Re e il Bambino. La consapevolezza e l’innocenza che si mescolano come nitro e glicerina, pronti ad esplodere.

E Roby si era, non so quanto scientemente, posizionato proprio lì. Il suo cappello a sonagli erano la sua chitarra e la sua voce ma i meccanismi giullareschi li aveva reinterpretati a suo modo e li padroneggiava. Non c’è un senese, o uno studente fuori sede che abbia vissuto a Siena tra il 1980 e il 2012 che non abbia ballato o riso o che non abbia sentito il grido di incitamento “a bolloreeeee!!!”.

Il “Menestrello” che dalla radio derideva in rima presidenti e giocatori del Siena, o il “Chicchero” (il termine senese per dire appunto “Giullare”) che si prendeva gioco del Sindaco, del Rettore, o dell’Arcirozzo di turno che lo invitavano a suonare ai loro pranzi e alle loro cene.

Roby è stato un Rigoletto senza gobba, che veniva chiamato in virtù del proprio talento da chi da lui temeva (e contemporaneamente desiderava) farsi sbeffeggiare. Mi ricordo passeggiate per il Corso dove si inchinava a signore ingioiellate e, con le movenze di un Arlecchino, le apostrofava con “Signora Taldeitali, anche oggi sembra un lampadario”, e giù risate. Oppure, al decrepito professorone: “Dottor Tizio, si rizza sempre? Non mi faccia stare in pensiero”. In rarissimi casi ho visto qualcuno risentirsi o offendersi, al massimo provavano invano a zittirlo con un: “Roby!!!”. Anche nelle commedie di Shakespeare, chi non veniva preso di mira dal Saltimbanco, si risentiva, perché non si sentiva importante al pari degli altri.

Roberto è forse la migliore espressione di questa polverosa città borghese, con il cappotto color cammello che odora di naftalina. Lui li chiamava “gli impagliati”. La migliore espressione perché sapeva che (citando una canzone della sua Operetta) “la libertà è un cavallo che scalpita in ogni cuore, anche in quello più timido”. E la sua manifestazione di libertà è stata quella di scegliere se diventare un divo che fugge via da qui, o un giullare che resta.

Alla stessa distanza dai potenti come dai bambini. In perfetto equilibrio tra il potere e l’innocenza. E forse è proprio per questo che, tra le migliaia di persone che lo hanno pianto il giorno del suo funerale, c’erano Sindaci, Rettori, Arcirozzi, Studenti, i suoi amici fraterni e tanti, tanti bambini. E ogni lacrima aveva lo stesso sapore. Quello del dolore di aver perduto per sempre l’unico Giullare di Siena.

4 commenti
  1. Federico
    Federico dice:

    Sono senza parole hai descritto l’anima di Roby come se avessi fatto una nitida fotografia … ci ha lasciato un grande vuoto intorno e nonostante ciò spesso, come già ho avuto modo di dire, lo senti aleggiare su questa città come uno spiritello dispettoso …

    Rispondi
  2. Guglielmo
    Guglielmo dice:

    Mi ero gettato sulla mia poltrona , moderna , accogliente , ad aspettare il pranzo : dopo due ore di bici nel bosco ero provato . Fisicamente stanco , ma quel 1 giugno ero turbato , proprio il giorno prima una risonanza aveva condannato un familiare carissimo . E poi , ancora non mi tornava , la mia azienda ci spediva in mobilità ; certo nel giro di pochi giorni avrei trovato ancora di meglio da fare e con indennizzi copiosi…ma ancora questo non lo sapevo. Insomma cercavo conforto in questa giornata di merda e quando mia figlia , attaccata a Facebook , mi disse , con delicatezza , se sapevo qualcosa di Robyricci – così lo chiamavano i ragazzi come la mia primogenita che l’avevano avuto regista al Classico – ebbi l ‘ ultimo regalo di Roberto . Si , sussultai pensando a chissà cosa potesse aver combinato , mi passò subito tutto e allargai un sorriso : come tutte le volte che lo incrociavo nel Corso e ci scambiavo anche solo due parole era una terapia ; “dopo ” mi sentivo come da bambino uscito dalla confessione . Un giornalista senese ne ha parlato come di un filosofo greco capace di instillare serenità , tu lo hai descritto con straordinaria precisione facendomi riflettere … e insomma ti faceva stare bene magari pigliandoti per il culo . Come si può immaginare tutto questo duro’ un attimo per sprofondare nella giornata più buia . Mia moglie lo conosceva – come tutti del resto – ma alla fine mi chiese se non fosse stata eccessiva la mia reazione per un amico che frequentavo trenta anni fa ; non capiva che oltre al Genio e alla Gioiadivivere , Lui era pura ed eterna Gioventù , quella che il 1 di giugno svanì , definitivamente .

    Rispondi

Lascia un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *