tasche

Una tasca bucata

Entrando dentro i miei jeans stamani
ho sentito rotolare gelo lungo la coscia
ho infilato nelle tasche le mani
con un senso di improvvisata angoscia

Una tasca è bucata in quei calzoni rottami
mentre l’altra è la stessa di ieri e ancora contiene
chiavi, monete, fazzoletti e legami.

Ecco, sono proprio come i miei pantaloni.
Da una parte perdo tutto, dall’altra conservo.
Idee, sogni, monete e relazioni
che ti fanno sentire un giorno padrone e il giorno dopo servo.

Nella vita ci sono due tasche
Una per ogni braccio che abbiamo
Ché se una è bucata, a ciò che hai nell’altra puoi dire: “Ti tengo, ti amo”.

 

Illustration by Natassya Diana – www.behance.net/natassyadiana

zoocial

Zoocial network (10 animali social)

Lavorare nei “zoocial” è bestiale! Se Facebook fosse uno zoo sarebbe molto divertente abbinare ai comportamenti degli utenti, osservazioni etologiche da documentario di Superquark. E tu quanti animali conosci?

1) Il Canide: amico fedele che scodinzola mettendo “mi piace” ogni volta che posti qualcosa. Puoi scioglierlo contro i tuoi haters, verso i quali abbaierà fedelmente.
2) La Moschina Fastidiosa: noioso essere che ti devasta gli zebedei con inviti a giochini di merda.
3) Lo Sciacallo: questuante bulimico di like, ottenuti condividendo disgrazie tra le più disparate. E disperate. Meglio se capitate a bambini.
4) La Volpe: sa come gira il mondo e furbescamente fa il pieno di like a ogni post. Sa usare gli ‪#‎hashtagghe, soprattutto in politica.‬
5) Il Pavone: l’amico vanitoso che posta selfie con la bocca a culo di gallina.
6) Il Gufo: l’amico a conoscenza di tutte le teorie del complotto che ti toglie il sonno prevedendo e preannunciando catastrofi imminenti. Porta male.
7) Il Coccodrillo: piange pubblicamente quando muore qualcuno che magari non salutava neanche.
8) La Nana Berciona: ce l’ha con tutti e lo fa sapere a tutti.
9) Il Canguro: posta a raffica saltando di palo in frasca.
10) Il Verme: ti saluta sui social e ti ignora per la strada.

 

Ps. La foto è ripresa dalla campagna della compagnia telefonica ucraina Kyivstar, agency Leo Burnett.

mattaglia

Roby, il Giullare di Siena (ricordo di un amico)

La dannazione di chi, come me, è figlio unico, è quella di passare la vita a cercare dei fratelli. Il vantaggio è quello che, in questo caso, puoi permetterti di scegliere. Pensate ad Abele quanto avrebbe preferito essere figlio unico o la nostra senesissima Santa Caterina, 25esima di 26, tra fratelli e sorelle. Molto meglio stare tra i lebbrosi che in una casa coi letti a castello a dieci piani, direi.

Io nel corso della mia vita, di fratelli e sorelle, ne ho trovati alcuni. E li ho scelti con attenzione.

Uno di questi si chiamava Roberto Ricci. Ma tutti lo chiamavano Roby. Per un bel po’ siamo stati dei gemelli diversi. Diversi per età, lui era molto più grande e io ero quello più adulto. Diversi per talento: lui aveva una voce che copriva un’estensione da Mina a Mario Biondi, io invece mi diverto a giocherellare con le parole, ma quelle scritte. Eravamo diversi anche per aspetto fisico: lui alto, bello e di gentile aspetto, io no.

1370337324237

Quando sono nato, lui aveva già l’età del motorino ma progressivamente ci siamo ritrovati ad essere coetanei. Non so se ho corso troppo io o se si è fermato lui ad aspettarmi. Il fatto è che, in una città come la nostra, è possibile anche questo. A Siena coetanei si diventa. Basta condividere qualcosa di grande come le passioni. Per noi le passioni comuni erano la Contrada (l’Aquila), le Feriae Matriculaum e la voglia di fare divertire gli altri.

Roby aveva una caratteristica che nessuno in questa città riesce ad avere. Era un giullare. A chi come me per passione e anche per lavoro, racconta storie, è noto che negli archetipi della narrazione esistono molte figure che creano un percorso che è possibile ritrovare in ogni storia, dall’Odissea al Signore degli Anelli, passando per Pinocchio. Si chiama “Il viaggio dell’Eroe” e può essere raffigurato come un cerchio. Anche la nostra vita funziona e si sviluppa più o meno così. Si parte dal primo ruolo: “il bambino innocente”, e dopo una serie di prove, e passando di ruolo in ruolo (l’orfano, il guerriero, l’esploratore, ecc.), si arriva alla matura padronanza di se stessi nel ruolo di “re”. Molti si fermano qui e vedono in quel punto di arrivo un vero e proprio successo: l’età della pensione di chi ha già dato tutto e ora può governare il tempo che gli resta da vivere. Poi ci sono alcuni che vanno oltre. E qui c’è la dodicesima figura, il dodicesimo archetipo narrativo: “il Matto”, “il Giullare”. Quello che la società tende a spingere il più lontano possibile, ma che il Re vuole sempre vicino a sé perché gli ricorda come si dovrebbe vivere davvero.

Se si disegna il viaggio dell’eroe come un cerchio che parte dall’innocenza dell’infante e termina nella padronanza di se stessi del Re, il Giullare si posiziona proprio lì, tra il Re e il Bambino. La consapevolezza e l’innocenza che si mescolano come nitro e glicerina, pronti ad esplodere.

E Roby si era, non so quanto scientemente, posizionato proprio lì. Il suo cappello a sonagli erano la sua chitarra e la sua voce ma i meccanismi giullareschi li aveva reinterpretati a suo modo e li padroneggiava. Non c’è un senese, o uno studente fuori sede che abbia vissuto a Siena tra il 1980 e il 2012 che non abbia ballato o riso o che non abbia sentito il grido di incitamento “a bolloreeeee!!!”.

Il “Menestrello” che dalla radio derideva in rima presidenti e giocatori del Siena, o il “Chicchero” (il termine senese per dire appunto “Giullare”) che si prendeva gioco del Sindaco, del Rettore, o dell’Arcirozzo di turno che lo invitavano a suonare ai loro pranzi e alle loro cene.

Roby è stato un Rigoletto senza gobba, che veniva chiamato in virtù del proprio talento da chi da lui temeva (e contemporaneamente desiderava) farsi sbeffeggiare. Mi ricordo passeggiate per il Corso dove si inchinava a signore ingioiellate e, con le movenze di un Arlecchino, le apostrofava con “Signora Taldeitali, anche oggi sembra un lampadario”, e giù risate. Oppure, al decrepito professorone: “Dottor Tizio, si rizza sempre? Non mi faccia stare in pensiero”. In rarissimi casi ho visto qualcuno risentirsi o offendersi, al massimo provavano invano a zittirlo con un: “Roby!!!”. Anche nelle commedie di Shakespeare, chi non veniva preso di mira dal Saltimbanco, si risentiva, perché non si sentiva importante al pari degli altri.

Roberto è forse la migliore espressione di questa polverosa città borghese, con il cappotto color cammello che odora di naftalina. Lui li chiamava “gli impagliati”. La migliore espressione perché sapeva che (citando una canzone della sua Operetta) “la libertà è un cavallo che scalpita in ogni cuore, anche in quello più timido”. E la sua manifestazione di libertà è stata quella di scegliere se diventare un divo che fugge via da qui, o un giullare che resta.

Alla stessa distanza dai potenti come dai bambini. In perfetto equilibrio tra il potere e l’innocenza. E forse è proprio per questo che, tra le migliaia di persone che lo hanno pianto il giorno del suo funerale, c’erano Sindaci, Rettori, Arcirozzi, Studenti, i suoi amici fraterni e tanti, tanti bambini. E ogni lacrima aveva lo stesso sapore. Quello del dolore di aver perduto per sempre l’unico Giullare di Siena.

pesce

10 miei grandi progetti mai nati

Progetti di quando pensavo di essere uno startupper di successo e avevo in testa delle idee meravigliose. Alcuni di queste hanno visto la luce e sono durate come un gatto in Autostrada. Altre sono rimaste solo degli embrioni durati il tempo di una risata.
1) “Trippa Advisor” (recensioni di locali trucidi)
2) “Chiavi in mano” (il kit di sopravvivenza per l’onanista)
3) “Il Braccio e la Mente” (diario di un viaggio fatto insieme al mio amico Michele Stabile)
4) “Meglio tardi che Mike” (format televisivo per quiz con domande piccanti, in onda a notte inoltrata)
5) “Una e trina” (naming per una sartoria gestita soltanto da una sarta bravissima)
6) “Rocco around the clock” (idea trash per orologio a pendolo con le sembianze di Rocco Siffredi)
7) “Cito interrotto” (pubblicazione editoriale sulle mie campagne mai approvate dai clienti)
8) “Vin Ahioooo” (vinaio stile Fight Club)
9) “PeperonCinico” (ristorante con cucina al limite della sopportazione del piccante)
10) “Meglio soli che scompagnati” (calzini venduti singolarmente)

nativo-digitale

Lettera aperta ad un nativo digitale

Caro fratello più piccolo,

c’è stato un tempo in cui le foto te le facevano gli altri. Un tempo in cui i numeri degli amici dovevi impararli a memoria. Un tempo in cui le cene si organizzavano anche alla zitta e il giorno dopo non lo sapevano tutti. Un tempo in cui i polemici se volevi li evitavi, bastava spostarsi. Un tempo in cui avevi solo 36 foto a disposizione e se erano venute bene, lo sapevi dopo due giorni. Un tempo in cui se un amico andava a stare a Milano non lo sentivi più. Un tempo in cui una quarantacinquenne non era una milf ma una “tardona”. Un tempo in cui Youporn era la pagina dei reggiseni del catalogo Postalmarket. Un tempo in cui la videochiamata era affacciarsi alla finestra. Un tempo in cui i calciatori giocavano solo a calcio. Un tempo in cui le notizie le sapevi per cena. Un tempo in cui i tuoi amici non erano mille. Un tempo in cui nessuno ti seguiva. Un tempo in cui, se ti perdevi, la strada dovevi trovarla chiedendo indicazioni agli altri. Un tempo in cui un gettone telefonico valeva 200 lire e 200 lire valevano quattro pacchetti di figurine. Un tempo in cui per sapere una cosa dovevi riempire un foglio di carta e aspettare i comodi del bibliotecario. Un tempo in cui le persone famose se lo meritavano. Un tempo in cui la Nonna non si filmava mentre faceva il sugo. Un tempo in cui tu non eri nato e io pensavo che il mondo avrebbe continuato a migliorare. Un tempo in cui avevo più certezze di quante non ne abbia ora. Un tempo in cui, quando scrivevo, mi ricordavo di essere mancino. Un tempo in cui la notte riuscivo a dormire bene.
Ti voglio bene, fratellino. Anzi, ti lovvo.

 

L’immagine è del pittore Joel Rea. Potete vedere altri suoi lavori qui.