Operetta 2016

Scrivere un’Operetta

Scrivere un’operetta è l’esatto contrario del sesso: vorresti arrivare alla fine il prima possibile e poi, quando stai per finire ti dispiace. Per quanto mi riguarda, il mio passaggio nel meraviglioso mondo delle Feriae ha coinciso esattamente con la mia partecipazione alla scrittura di ben cinque operette (un’altra ho contribuito a scriverla nel 2016). Sicuramente le due che sento più mie e delle quali vado maggiormente fiero sono “Billy e Pup(p)e” e “Lo strano coso del Dr Jackyll”. Si potrebbero raccontare decine di aneddoti che riguardano le due operette. Più di tutti mi piace ricordare la cenere mai scozzolata che restava attaccata alla sigaretta di Giorgino De Sanctis fino al momento in cui la forza di gravità non la faceva atterrare sulla sua pancia. Lo stesso Giorgino, con un’aria imperscrutabile ascoltava la prima stesura di una scena che avevo scritto commentando: “Tagliatella, dov’è il buffo?” oppure “Ma vuoi fare il cinema o il teatro?” dopo che avevo letto un atto dove c’erano oltre trenta cambi di scena.
Il primo atto di “Billy e Pu(p)pe” fu scritto quasi di getto da me e da Paolo Pin nel ’97 ma dovette attendere un altro anno prima di essere messo in scena perché a quella fu preferita l’operetta sui pirati. Nel ’98 portammo a termine l’operazione con l’aiuto di Andrea Marroni e di Giovanni e Paolo Mazzini. Era l’anno di Batman (non il supereroe ma un montepaschino che si era esibito in evoluzioni sessuali mascherate precipitando dall’armadio su di un comodino e restando svenuto di fronte all’amante legata al letto che non aveva possibilità di movimento e di soccorso). Alla fine di una storia articolata con delle situazioni teatrali molto buffe, l’operetta si concludeva con l’entrata di Batman (un mitico Giulio Griccioli che ancora non era decollato nella carriera di allenatore). L’ultima battuta, rivolta al Batman sdraiato a terra esanime da quello che era il mio personaggio, era: “Sta comodo?” e lui: “Ora comodo; ….comodino!”
Il Jackyll invece lo scrissi quasi completamente da solo. Alla prima lettura gli studenti e il principe si divertirono un mondo, soprattutto Provenzano Carignani che svolgeva la funzione di “pubblico medio” e che rideva a crepapelle.
La storia dello scienziato che a cinquanta anni non aveva ancora visto l’organo sessuale femminile (Po-Po-Po Ta-Ta-Ta) e che per questo aveva deciso di inventarsela da solo, era chiaramente una parodia che fu arricchita nel finale dalla trasformazione del dottore in un essere che potesse piacere alla ragazze: un giocatore del Siena. Il sabato dell’operetta coincideva con la vigilia della promozione in serie B del Siena. Sembrano passati dei secoli. Mi divertii come un matto insieme al pubblico quando, vestito con un’improbabile maglia a strisce bianche e nere (che certo non esaltava le mie forme) davo l’attacco al teatro che intonava i cori della curva della Robur.

L’Operetta del 2016 è nata invece una mattina presto. Ero appena uscito dalla palestra dove avevo fatto due addominali e una flessione di numero. Sudatissimo chiamai il Principe Edoardo Conticini e gli dissi che secondo me si poteva raccontare la storia di Galileo Galilei ambientandola a Siena. Il fatto era che Galileo aveva scoperto che non era il mondo a girare intorno a Siena ma l’esatto contrario. Per questo l’inquisizione, fatta di benpensanti e ottusi senesoni lo voleva mandare al rogo.

Il Principe convocò subito il conclave degli scrittoroni che, dopo diverse cene giunsero alla conclusione che forse sì, quella proposta dal Taglia si poteva fare. La scrittura fu affidata a Andrea Berni con io che facevo da scrittore anziano, la regia al granitico Luca Virgili “Fresco”. Fu un successo. E il titolo: “Eppur si muove”, l’ho sempre visto come un’allegorica rappresentazione di un cuore che si è dimenticato di dover battere. Il cuore di una città che amiamo da morire.

Effettivamente scrivere l’operetta è l’esatto contrario del sesso. Ma c’è una cosa che invece è proprio identica: quando non lo fai più ci sformi come una bestia. E ogni volta che ti capita di rifarlo ti senti di nuovo giovane.

Foto scattata dal sottoscritto dal palchetto della regia al Teatro dei Rozzi. Operetta 2016, Eppur si muove.

mattaglia

10 canzoni di Siena raccontate in 10 tweet

10 canzoni di Siena raccontate in 10 tweet
ovvero
L’esigenza della sintesi

– Nell’erbetta ho trovato una rizzacazzi e mi s’è levata di culo.
– 16 agosto. Sante decapitato. Francia merda.
– Maremma che terra impervia! Uccelli caput; persone care idem.
– Serenata da tre ore. Idolo mio, ti decidi ad aprire?
– Chi ti ha fatto quegli occhioni? I miei; però ti avverto, sono vergine e resto così!
– AAA: lasciato dalla citta, cedesi migliore seggiolina.
– Cacciatore seduce e abbandona pastorella.
– Fare il bovaro è ganzo: si tromba!
– Lo spazzacamino non usò precauzioni. E ora?
– Sono una rondine acciaccata; lasciatemi crepare in pace.

Dedicato a Roby dal Taglia
(13 settembre 2015)

dead

Morire: prima di Facebook era “riposare in pace”

Se ti succedeva di morire ed eri sconosciuto ti piangevano i parenti;
se eri famosissimo c’era un servizio al telegiornale.
Ma siccome ora anche lo sconosciuto c’ha mille amici,
me lo dite a che servono i manifesti attaccati ai muri?
Tanto la notizia di un trapasso ti arriva come un lampo
mentre controlli gli accidenti che si mandano i tuoi amici.
Un tempo capitava che se per una settimana non uscivi
padellavi il manifesto e dopo qualche mese chiedevi:
“Ma Tizio che fine ha fatto, è da tanto che ‘un lo vedo…”
“Ma come ‘un lo sai del coccolone? Ormai ‘un puzza neanche più!”
Prima, se eri una celebrità l’articolo te lo scrivevano
avanti che tu morissi e si chiamava “coccodrillo”.
Anche ora lo scrivono prima che tu muoia
ma non si chiama più coccodrillo, si chiama “bufala”.
Poi capita che muori per davvero e se hai fatto trecento canzoni,
di cui duecentonovantanove capolavori,
c’è quello che va a cercare la trecentesima
nella versione fatta mentre tossivi,
pur di postare qualcosa a cui gli altri non avevano pensato.
E poi spunta sempre quel video inedito
che se volevi che rimanesse inedito forse un motivo c’era.
Perché diciamoci la verità,
a noi di David Bowie,
di Prince
o di Moira Orfei,
mica ce ne importa per davvero.
Sennò si uscirebbe da Facebook
e si andrebbe a trovarli al cimitero.
Di portare rispetto ai morti che vuoi che ce ne freghi
se i primi a cui non si porta rispetto sono proprio quelli vivi.
A noi ci importa di fare bella figura,
di essere apprezzati,
di prendere un “mi piace”,
di essere taggati.
Dell’arte, del talento,
degli affetti di chi ci sta male per davvero,
lo sai che ce ne cale?
Aspetta, aspetta, è morto un’altro;
c’ho da postare!

AlmoNature

Animali Umani VS Umani Animali

Nel lontano anno 2000, scampato al Millenium Bug, mi sono laureato in Scienze della Comunicazione. Portavo una tesi dal titolo: “Il Palio Attaccato”. L’argomento era ovviamente il Palio di Siena. “Attaccare” il Palio, a Siena vuol dire vincerlo ma già nel 2000 la preoccupazione, anche nell’ambiente accademico, era rivolta agli “attacchi” da parte di gruppi più o meno organizzati che, spinti da un sedicente amore per gli animali o, come credo, per ottenere il famoso quarto d’ora di celebrità, scelgono ancora oggi con cadenza regolare la festa senese come nemico pubblico numero uno.

Vi risparmio il contenuto della tesi e di quali tecniche di comunicazione secondo il me di allora potevano essere attuate a tutela del Palio; quello che mi interessa raccontare è una parte, secondo me la più acuta, del lavoro che osservava come, a partire dal dopoguerra, l’animale abbia assunto un’accezione e una percezione presso i pubblici di massa che prima non aveva. Questo passaggio si attua negli anni del boom economico, in cui le campagne si svuotano di abitanti e gli animali da cortile come il cane, il gatto, il ciuco, diventano per chi, rifugiatosi in città non può farne a meno, animali domestici e veri e propri famigliari. Quello che era Fido, Bubi, Micio, assume un nome proprio. Sono gli anni in cui Disney si inventa il villain Crudelia De Mon che non ha come obiettivo quello di distruggere il mondo ma bensì di farsi una pelliccia di dolcissimi dalmata. Disney dà nomi propri a Lilli e al suo fidanzato bastardo (il bastardo più amato fino all’arrivo di Jon Snow), agli Aristogatti, a Dumbo e a Bambi. L’animale con Disney non è più bestia da lavoro o anello inferiore della catena alimentare, è il protagonista di una storia.

E’ un fenomeno che definirei “antropomorfizzazione dell’animale”; la bestia che diventa umana e alla quale si attribuiscono sentimenti che di animale non hanno niente. E’ la comunicazione bellezza. Disney ha tracciato l’inizio del percorso, ci ha abituati a vedere la realtà da un altro punto di vista e quel punto di vista è diventato una nuova normalità. Una normalità che porta alcuni a considerare gli animali più umani degli umani.

Chi gioisce per la morte di un torero, chi ammazzerebbe l’antipatico giornalista solo perché sventola un salame, chi distrugge anni di sperimentazioni in laboratorio perché fatte su delle cavie, chi toglie il miele e il latte dalla dieta di un bambino, è figlio di una deriva iniziata con il primo numero di Topolino. Che c’entra; anche io ne sono figlio e avrei dei seri problemi ad ordinare una Polenta con Stufato di Bambi in una baita di montagna oppure un piatto di Roger Rabbit alla Cacciatora.

I tuareg hanno centinaia di nomi per chiamare un cammello, ma sono nomi che descrivono le infinite modalità in cui quella bestia, che è contemporaneamente compagno di lavoro, mezzo di trasporto, cibo, patrimonio, materia prima per vestirsi, vive le varie stagioni e i suoi malesseri nel corso della sua vita. Una vita preziosa che deve essere rispettata non perché l’animale abbia dei sentimenti umani ma perché è parte di un tutto di cui noi stessi facciamo parte con il ruolo di esseri umani. I tuareg sanno bene dove finisce l’animale e dove inizia l’uomo. Per descrivere l’animale hanno centinaia di nomi, per descrivere l’uomo soltanto uno: uomo.

E vaffanculo a Walt Disney.

 

L’immagine del post è tratta dalla campagna realizzata per AlmoNature da Oliviero Toscani

credere

Perché è meglio non credere che uccidere in nome di Dio (secondo me)

Perché a chi non crede non interessa a chi chiedi i favori la sera prima di dormire.
Perché, al massimo, chi non crede prima di dormire un favore lo chiede a chi è a letto con lui. Mal di testa permettendo.
Perché per uno che non crede, ammazzare uno che non crede al suo stesso Dio non avrebbe senso.
Perché per uno che non crede, la domenica è un buon giorno per fare festa, esattamente come il lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì e sabato.
Perché uno che non crede il Paradiso lo cerca prima di morire.
Perché uno che non crede tende a tollerare di più, anche chi crede.
Perché per uno che non crede il senso del dovere prevale sul senso di colpa.
Perché uno che non crede, il perdono lo cerca dalle persone. E magari chiede anche scusa.
Perché uno che non crede quando muore è morto.
Perché se uno che non crede ha a che fare con un “infedele”, al massimo divorzia.
Perché uno che non crede sa che trovare 70 vergini è proprio impossibile.
Perché uno che non crede, a meno che non sia celiaco, può mangiare quello che vuole.
Perché uno che non crede cerca di godere…ma se anche un altro gode, non è poi questo gran problema.
Perché per uno che non crede, se un altro sceglie di morire, è perché ha fatto la sua scelta.
Perché uno che non crede, ad un concerto non ci andrebbe mai con un kalashnikov. Semmai scavalcherebbe.
Perché per uno che non crede, Dio, Allah e Buddha sono personaggi di libri.
Perché per uno che non crede, quello che dice un libro l’ha detto l’autore del libro. E basta.
Perché per uno che non crede, nessun Dio fa lo scrittore.

L’immagine fa parte della campagna “Unhate”, realizzata nel 2011 da Fabrica per Benetton Group

interessi

Gli interessi di un maschio in 5 lettere

Come cambiano nel tempo gli interessi di un maschio? Cambia poco, solo qualche vocale.

0 anni – La poppa
1 anno – La pappa
3 anni – La Peppa
5 anni – La Pimpa
13 anni – La pippa
15 anni – La puppa
18 anni – La pompa
21 anni – La pompa (della benzina)
30 anni – La pippa(ta)
50 anni – La poppa (della barca)
75 anni – La Peppa (badante)
80 anni – La pappa
85 anni – La pompa (dell’ossigeno)
90 anni – La pompa (funebre)