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Il mio professore di filosofia

Il mio professore di filosofia del liceo si chiamava (e si chiama ancora) Alessandro e all’epoca somigliava molto a Sir Alec Guinness quando faceva Obi Wan Kenobi. Somigliava anche a Sean Connery vestito da frate nel film tratto dal più celebre degli scritti di Umberto Eco. Aveva la barba bianca da saggio quotidianamente ravversata, gli occhi chiari, la schiena dritta e l’andatura elegante.

E’ vero, a sedici anni hai in testa una cosa che inizia per FI e finisce per A, ma non è esattamente la Filosofia.

Ciononostante Sandro riuscì nella missione impossibile di farmi innamorare della sua materia. La prima lezione me la ricordo ancora: entrò in classe e senza presentarsi, iniziò a parlare dalla Scuola di Mileto, di Talete, Anassimene e Anassimandro e lo fece senza prima imbastire il classico “giro di nomi per conoscersi” che tutti gli altri prof facevano. Alla fine delle due ore, per me Talete, Anassimene e Anassimandro avevano perfettamente ragione tutti e tre. Praticamente mi era stata data, dopo la prima lezione di filosofia, buona parte delle risposte che cercavo, tranne “dove si va sabato dopo cena?”.

La strana caratteristica delle sue lezioni era che ogni volta che si passava da un filosofo all’altro, l’ultimo di cui si era parlato diventava immancabilmente “quello che aveva tutte le ragioni del mondo”. Aveva ragione Aristotele, aveva ragione Platone, per non parlare di quanta ragione avesse Kant. Ragione pura.

Ma aveva ragione anche quello che diceva che “homo faber fortunae suae”, o quello di “homo homini lupus”.

L’ho incontrato di nuovo qualche mese fa Alessandro e non ricordandomi se gli davo del tu o del lei, ho optato per il lei. Siamo rimasti tre minuti a parlare dei nostri ultimi venti anni e una buona mezz’ora a dissertare sul perché il televideo sia praticamente defunto. Internet non deve essere entrato molto nelle sue corde.

Non gliel’ho mai detto ma gli voglio bene. Se sono così è anche merito o colpa sua.

All’epoca della scuola mi creava una forte soggezione ma, arrivato alla fine della quinta, trovai il coraggio di fargli la domanda da un miliardo: “Prof, ma insomma, qual è di tutti i filosofi quello che ha ragione davvero, secondo lei?”

Lui mi guardò da dietro i suoi occhialini da presbite con lo stesso sguardo con cui Guglielmo da Baskerville avrebbe guardato Adso da Melk, tacque per alcuni secondi e mi rispose senza sorridere affatto: “Tutti!”

Credo che quello fu il giorno in cui iniziai a bere.

 

Nell’immagine, Sir Alec Guinness interpreta Obi Wan Kenobi in “Guerre stellari” di George Lucas (1977)

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La celebrità nell’era dell’endorsement

Ricordate come era bello quando a dirci come votare era il politico di cui ci fidavamo? C’era un referendum e se Pannella o Berlinguer parlavano e dicevano che erano per il Sì, magari Almirante o Andreotti dicevano di votare No. Era facilissimo. I follower (all’epoca non si chiamavano così) di Pannella, Berlinguer, Andreotti e Almirante, avrebbero saputo esattamente cosa fare.
Oggi viviamo invece nella straordinaria “era dell’endorsement” dove, visto che nessuno si fida più dei politici, i politici chiedono, non sempre gratuitamente, il favore a illustri personaggi dei settori più disparati di esprimersi. La speranza è che i loro follower (oggi si chiamano così), siano in questo modo convinti ad orientarsi da una parte o dall’altra.
Così se il Sì getta l’Asso di Cuori, vincitore di Premio Oscar, il No controbatte con l’Asso di Bastoni, vincitore di Premio Nobel, con un endorsement estorto post mortem.
Quelli del Sì buttano giù la Donna di Spade, campionessa paralimpica e il No risponde con il Re di Picche, professore costituzionalista. Il problema è che noi uomini medi, che veneriamo i nostri idoli, siamo disarmati e non sappiamo più da che parte votarci. E votare.
Mettiamo che uno fosse il primo dei fan degli Avengers e scoprisse che Hulk e Capitan America voteranno No mentre Iron Man e Thor sono assolutamente convinti che basta un Sì. Come si può tradire uno dei nostri beniamini?
La situazione è a dir poco ingarbugliata: su ognuno dei due fronti si trovano personaggi per cui abbiamo fatto la fila ai concerti e contemporaneamente gente di cui abbiamo bruciato i cd.

Lo stato dell’arte è più o meno questo:

VOTERANNO SI: Stanley Kubrick, Alvaro Vitali, Alvaro Soler, Alvar Aalto, Gino Bramieri, Adolf Hitler, Gandhi, Papa Giovanni XXIII, Dante Alighieri, Rita Levi Montalcini, Nilde Iotti, John Fitzgerald Kennedy, Zio Michele di Avetrana, Abele, La Sora Lella, Bilbo Baggins, L’Omino della Bialetti, Fausto Coppi, Zico, Sandra Mondaini, Voldemort, Pisolo, Gianni Togni, Rocky Balboa.

VOTERANNO NO: Oliver Hardy, Frank Sinatra, Charles Manson, Roman Polanski, Bombolo, Raimondo Vianello, Padre Graziano, Papa Winnie, Romina, Al Bano, Tex Willer, Dylan Dog, il Joker, Tina Anselmi, Palmiro Togliatti, il Dalai Lama, l’Uomo del Monte, Isacco, Frodo Baggins, Ron, Red Canzian, l’Omino Michelin. i Ghostbusters, Rambo, Ivan Graziani.

Come posso fare uno sgarbo a Ivan Graziani? Ma neanche posso andare contro Rocky Balboa. E se Rambo poi se ne offende? Ok, farò quel che dice Tex Willer. Ma forse è meglio seguire Bilbo.
Sembra di assistere ad un Royal Rumble di Celebrity Deathmatch dove dei famosissimi pupazzi se le danno di santa ragione. Chissà poi per cosa.

Se qualcuno mi aiuta a capirci qualcosa giuro che voto quello che mi dice lui. O forse faccio come mi pare. Che casino…

guernica

Il foglio bianco, la tela bianca

In principio anche la Bibbia era un foglio bianco. In verità vi dico che anche il Vangelo era un foglio bianco prima che quei quattro si prendessero la briga di scriverci sopra. Erano un foglio bianco Pinocchio, la Divina Commedia, il Nome della Rosa e il Vernacoliere. Il foglio bianco è come la legge: è uguale per tutti. E come la legge, ognuno lo interpreta un po’ come gli pare. Il foglio bianco è la massima rappresentazione delle pari opportunità, della giustizia, dell’equità.
Lo spazio bianco, che sia un foglio, una tela o uno schermo di un computer, è l’infinità delle opportunità di scelta. E’ un incrocio con infinite strade possibili da percorrere. Scegliere una strada piuttosto che un’altra conduce inesorabilmente a destinazioni diverse e disparate. E può essere un viaggio straordinario oppure un disastro totale. Erano una tela ugualmente bianca la Primavera di Botticelli, la Monna Lisa, quello spazio su cui Pollock faceva gocciolare i suoi pennelli e tutte le tele in cui Fontana decise di infilare un coltello per vedere cosa ci fosse dietro. Ogni risultato è figlio di una scelta e ogni scelta è un’espressione di libertà. Comunque.
Ogni volta che ci troviamo di fronte ad un’opera dobbiamo ragionare su questo e magari ci verrà più difficile dire, davanti ad un Picasso qualunque: “Questo potevo farlo anche io”.

L’immagine è “Guernica”, la tela realizzata da Pablo Picasso nel 1937 e conservata nel Museo Reina Sofia di Madrid. Anche questa un tempo fu una tela bianca.

Ritratto

L’ingrato compito del ritrattista di potenti

Passare un pomeriggio in un museo che contiene arte barocca o romantica apre la mente. Specialmente ti fa mettere in discussione la tanto decantata “bella vita” degli artisti. Mi sono immaginato di essere nella testa di uno di questi pittori disgraziati e mi è venuto fuori un flusso di pensieri che ora vi metto nero su bianco.

“Buongiorno. Che ore sono? Le otto e trenta? Del mattino? Sì prego si accomodi. A che ore sono andato a letto? Un’oretta fa. scarsa. Ma veniamo a noi… Come dice? Sua Maestà chiede un ritratto dell’Infanta? O mio Dio. (Segno della croce, all’epoca erano tutti smodatamente cattolici). Come? No, no, niente…Ma un’altra cosa, tipo che sò, un cesto di frutta alla Caravaggio, un paesaggio alla Tintoretto, una tauromachia…C’è gente che ci farà i soldi con la tauromachia..È solo che, vede…L’Infanta, detto tra noi è….(sottovoce)…bruttina. Nooooo….chi ha detto brutta? Ho detto “bruttina”. Nel senso che, vede, ha tre menti. Ha la testa che è due volte una testa normale e gli occhi…gli occhi sono quelli di….ha presente un’orata? Sì, ma pescata l’altroieri! I capelli sono come un gatto che ha preso un secchio d’acqua addosso e la pelle ê grigia…come un cadavere. Sono anni che dipingo ritratti di potenti, mi capisca, mi sarei scocciato di fare finta che tutti i nasi siano all’insú, che tutte le gote siano rosa, e che tutte le bocca siano quelle di un putto. L’Infanta è BRUTTA, mi aiuti a dirlo, BRUTTA! Come dice? Un giorno potrebbe sposare il Re di Francia? Quindi il Principe di Francia è cieco? Ah no, tra voi potenti funziona che conta l’interesse.
Ecco.
Bene.
No, no, non si può fare.
Mi faccia dipingere quella bella lavandaia che avete a corte. E a chi interessa? A me, perdiana! A me interessa la lavandaia! Come dice? State per assegnare gli affreschi di palazzo? E a chi li assegnate??? Non facciamo scherzi eh! Come? Chi c’è tra i papabili? Ma non scherziamo nemmeno!
Quanto lo vuole grande questo ritratto della babbui…della bambina? Ma guardi la avverto che la faccio così come la vedo, eh. Poi senza arrabbiarsi. Capito? Lo dica anche a Sua Maestà. Io rappresento la realtà per come la vedo e L’Infanta io la vedo BRUTTA! Chiaro?
Almeno l’abito possiamo averlo fatto a modino? Con un bel fiocco nel mezzo del petto. Rosso! Almeno la gente guarda quello e non guarda la faccia. E un animale da compagnia ce lo abbiamo? Un cane? Benissimo. Allora ci vediamo domattina. E mi raccomando, per quella cosa degli affreschi non facciamo scherzi. Arrivederci.
Dica! Come dice? Il cane sarà quello dell’Infanta? Ma no…è mostruoso anche quello! Almeno il cane…”

L’immagine è un dettaglio del ritratto di Maria Teresa d’Austria, Infanta di Spagna e di Portogallo, realizzato da Juan Baptista Martinez del Mazo.

Don chisciotte

Da una vita sono in folle

Facendo un viaggio nella terra di Don Chisciotte mi è venuta a galla una canzone che scrissi con Roberto per la commedia messa in scena al Teatro dei Rozzi dalla nostra Contrada “Sono pazzi miei”.
Era il finale che raccontava l’evasione da un manicomio di un gruppo male assortito di matti. Ma è anche una metafora della vita di tante persone. Della mia sicuramente.

Da una vita sono in folle
Sembro quasi come un letto senza molle
Non ho muri, non ho tetto
Mi hanno detto questo qui va chiuso lì

Anche senza cervello
Quella luce che filtrava dal cancello
Di quel mondo mi parlava
Di quel mondo che io non avevo lì

Senza ali volavo
Non avevo le catene ma ero schiavo
E vi canto le mie pene
Forse è un bene che non tornerò più lì

Ogni notte, ogni giorno,
Per fuggire mi guardavo sempre intorno
Però dentro io restavo
A sognare di non essere più lì

Esci fuori dalla gabbia,
niente pulci, niente nebbia, niente rabbia
Dillo a tutta la città
la follia in questo mondo è libertà

Non restare tra le sbarre
Scappa fuori e scatena la bagarre
Dillo a tutta la città
La follia in questo mondo è libertà

Dillo a tutta la città
La follia in questo mondo è libertà

(Canzone scritta per la commedia “Sono pazzi miei”. Testo: Giampiero Cito, musica: Roberto Ricci, Siena 2004)

pregnancy

La mamma dei cretini deve aver preso la pillola

Sarà che crescere con un padre ginecologo mi deve avere forgiato nell’osservare tutte le pance di donne in stato interessante che mi passano davanti cercando di capire anche la settimana di gestazione; sarà che i modi di dire basati sul sessismo non vanno più di moda, sará che ho cominciato a farci attenzione: a me questa cosa che la mamma dei cretini sia sempre incinta non mi torna più. E ora provo a spiegarmi.

Non si trova più un cretino in giro a pagarlo oro.
Da osservatore di ciò che accade nel mondo passando non più dai giornali ma dai social, mi rendo conto che le cose sono cambiate. In meglio!
Dei miei mille e passa contatti mi aspetterei che, a dare ragione a chi dice che “la mamma dei cretini” è perennemente in dolce attesa, una buona parte lo sia. E invece no; vedo orde di luminari dissertare di politica locale, nazionale e financo internazionale. Gente che mi spiega, con dovizia di particolari come le Torri Gemelle siano cadute, come la Brexit non sia poi un male, come si possa dire SI o NO con la certezza di fare la cosa esatta. A leggervi, amici, mi viene da pensare che la mamma dei cretini si sia decisa a ricorrere agli anticoncezionali. E io che ero diventato amico vostro per la vostra capacità di dissertare del niente, che ridevo quando dicevate l’alfabeto con un rutto, che apprezzavo la vostra simpatica superficialità. Mi avete tradito.

Stavate fingendo, ammettetelo.
Mi avete nascosto che avevate la soluzione ai furti nelle case e agli sbarchi coi gommoni. Avete mentito quando mi avete fatto credere per anni che di arte, musica e cinema non capivate nulla. E quando vi interrogava il professore di storia e facevate scena muta era tutto un bluff. Mamma mia, quante ne sapete.

Mi avete lasciato solo. L’unico cretino in un mondo di luminari.
Ci ritroveremo, pochissimi e nascosti come i poeti estinti, nel chiuso di un vinaio a cantare “osteria numero venti” o “teresina ‘un ti ci porto più”. Dovremo anche noi, ultimi cretini sopravvissuti, fingere di essere preparati su tutto. E anche noi condivideremo un video inedito dell’ultima rockstar trapassata, facendovi credere di averlo tenuto nascosto per anni.
Allora anche voi penserete di noi che non siamo cretini. E allora avremo vinto. Vi avremo sconfitto con la vostra arma: la finzione dell’intellettualità. A quel punto vi avremo battuto e voi non ve ne sarete neppure accorti.

E la mamma dei cretini tornerà di nuovo ad essere sempre incinta, come una volta. E tutto sarà nuovamente normale. E bellissimo.

Wild horse amongst cypress trees

La Brenna, il Trombone, il Cavallo da Purga

Per la maggior parte delle persone nel mondo, un cavallo è un cavallo e basta. Per noi senesi un cavallo può essere una benedizione o una sciagura. E’ per questo che da noi non c’è un modo solo per chiamarlo. Un po’ come accade con la neve per gli Eschimesi.

La maggior parte dei Senesi ha un soprannome. Come in ogni piccola città, dove più o meno tutti si conoscono, una caratteristica fisica o un aneddoto del passato diventano un appellativo che rimane incollato addosso alla persona per tutta la vita. Anche i cavalli da Palio non escono indenni da questa pratica.

Esistono, infatti, attribuiti ai cavalli, dei nomignoli che, oltre al nome proprio, ne contraddistinguono le caratteristiche. Sia quelle fisiche, sia quelle legate ad una più o meno probabile speranza di vincere il Palio.

Oltre alla filastrocca popolare che individuerebbe la potenza e le qualità di un cavallo (detto “Balzano” per la somiglianza con lo stemma di Siena per metà bianco e per metà nero) dalla pigmentazione bianca sulle zampe, ci sono svariate categorie di cavalli da Palio: ad ognuna di esse i Senesi attribuiscono uno dei seguenti soprannomi:

La Brenna: è un termine che indica un cavallo con scarse probabilità di vincere. “Pare infatti che derivi da un’antica voce francese braine o baraine che significa cavalla sterile…si può dire che una brenna ha le stesse probabilità di vincere il Palio di quante ne abbia una persona sterile di avere un figlio” (Alessandro Falassi e Alan Dundes; La Terra in Piazza 1975). Bisogna infatti ricordare l’associazione simbolica tra la vittoria del Palio e la nascita di un bambino. La Brenna è quella che ti fa uscire di Piazza a testa bassa ma che, in alcuni rarissimi casi, può ribaltare le previsioni. “Attenti alle sorprese”.

Il Trombone: è il cavallo potente che tutti sognano di avere. Il termine “trombone” nel vernacolo senese indica il pugno dato in pieno viso. Avere in sorte un trombone equivale a fare male alle altre Contrade con un campione che è al massimo delle sue potenzialità. Però, se poi va male, il trombone lo prendi in faccia te…

Il Bombolone: è un sinonimo di Trombone anche se ha una derivazione etimologica diversa. La “bomba” è la leggendaria “mistura segreta” che veniva somministrata ai cavalli prima della corsa. Una miscela esplosiva da provocare una deflagrazione di energie e di felicità per la vittoria. Il bombolone è anche il dolce che i Senesi mangiano per tradizione la mattina delle Prove di Notte che si svolgono due giorni prima dell’inizio del Palio. Un dolce estremamente calorico e zeppo di crema. Una cosa piacevole da gustare come sarebbe piacevole vedersi assegnare un cavallo potente

Il Marcione: è un cavallo in pessime condizioni fisiche che di solito viene scartato durante la previsita e che quindi raramente prende parte al Palio.

Il Cavallo Nòvo: è un esordiente. Non ha mai corso in Piazza e quindi è un’incognita totale. Ci sono gli esperti che ti sapranno dare tutte le delucidazioni perché l’hanno visto correre in provincia e a loro potrai appoggiare le tue speranze. Anche se, si sa, “Monticiano non è Piazza del Campo”.

Il Cavallo da Purga: è un buon cavallo ma con quello è molto difficile vincere. Al Palio si purgano tutti quelli che non riescono a vincere ma, in modo particolare, chi ha le maggiori chances di vittoria e non la raggiunge. Il fatto che un cavallo sia “da purga” può dipendere dal fatto che non è pronto al momento della partenza, dalla sua mancanza di precisione nell’impostare le curve o per il fatto che è difficile rimanervi in groppa. Di solito un cavallo da purga ha corso molti Palii ma non ne ha mai vinto uno.

Come avviene per le persone, un cavallo che si guadagna un soprannome rimane per sempre categorizzato con esso.
Così Figaro, cavallo potente che ha corso molti Palii, è rimasto etichettato come “cavallo da purga” anche dopo aver vinto la carriera del 16 agosto 1988. Dio gliene renda merito.Pytheos e Urbino, cavallo scartati per manifesta superiorità, sono sempre stati considerati dei “tromboni”, mentre Ogiva e Fenosu, cavalli ai quali nessuno dava un grosso credito, nonostante la vittoria all’esordio sul tufo non sono stati mai ripresentati perché non ritenuti idonei alla Piazza, cioè delle “brenne”

Può apparire strano che si parli di animali allo stesso modo di come ci si comporta con gli esseri umani. Questo è però il risultato di un mutamento sociale che a Siena trova la sua massima espressione e il fulcro di un grande dibattito. A Siena i cavalli vengono trattati come persone. E come noi anche loro hanno un soprannome.

dario fo

La rarità del talento umano

Il talento umano non è infinito. E’ inestimabile ma è assolutamente numerabile. Mi spiego meglio: se oggi al mondo le persone viventi sono circa sette miliardi, a mio avviso sarebbe possibile quantificare l’esatta quantità di talento disponibile oggi nel mondo. Con un ragionamento da Bustine di Minerva mi piacerebbe dividere il mondo in chi ha talento, se pure in minima parte e chi non ne ha affatto. Tra chi non ne ha affatto potremmo enumerare gli zotici, i copiaincollatori, gli ignavi. Tra gli altri potremmo cercare di categorizzare le varie tipologie di talento: il talento artistico, il talento politico, il talento manuale, il talento sportivo e aggiungete voi tutto ciò che vi passa per la testa.

Siccome gli esseri umani sono un numero finito, anche il loro talento è finito. Per questo, come per il petrolio, possiamo dire che il talento è una risorsa esauribile. Pensiamo ad un mondo fatto soltanto da zotici, copiaincollatori e ignavi. Sarebbe un mondo privo totalmente di talento.
Per questo, se consideriamo il talento alla stregua del petrolio, dell’oro o dei diamanti, possiamo dire con certezza che il talento umano è prezioso.

Questo lungo preambolo è per dire che quando scompare una persona piena di talento è come se bruciasse un pozzo di petrolio o crollasse una miniera di diamanti.

Quindi se muore Dario Fo, Albertazzi o Oriana Fallaci non son morti “Un voltagabbana”, “Un fascista” e “Una razzista”, sono morte tre casseforti del talento. E si può essere in disaccordo totale con un pensiero di Fo, con una dichiarazione di Albertazzi, o con uno scritto della Fallaci ma non si può riconoscerne il valore in termini di talento, di capacità di creare discussioni, di fare riflettere e di stimolare il mondo ad allontanarsi dagli zotici, dai copiaincollatori e dagli ignavi.

Per cui, secondo me, il talento ci protegge e ci difende dalla negazione del talento. E quando se ne va uno di questi beni preziosi, dovremmo evitare di seppellirlo con un’etichetta politica o di parte (che poco ha a che fare con la purezza del talento) e renderci conto che abbiamo perso un pozzo di petrolio e quindi che siamo un pochino meno ricchi di quanto lo eravamo ieri.

Da l’Orazione Funebre di Alberto Moravia a Pier Paolo Pasolini

“Abbiamo perso prima di tutto un poeta. E poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo.

(applausi).

Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta. Il poeta dovrebbe esser sacro.”

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Apologia della Cattiveria

Dai, non fate finta di niente: tutti noi abbiamo avuto un compagno di classe cattivo. Il mio era cattivissimo. Aveva sei anni. Mi ricordo che si chiamava Emiliano ed è dal 1981 che non so che fine abbia fatto.
Non mi ricordo se l’etichetta gliela avesse appiccicata addosso la Maestra o qualche bidello. Emiliano, per tutta la scuola, era “il bambino birbo”.
Io ci avevo fatto amicizia e quando mia madre veniva a prendermi, lui saliva in macchina con noi. Lei mi diceva: “Guarda che non è mica cattivo Emiliano…”
In effetti all’epoca per me i cattivi erano i nemici di Goldrake e non mi sembrava che Emiliano avesse intenzione di distruggere il mondo. Per ora aveva distrutto solo la seggetta di un water della scuola e scritto col pennarello sulla porta.
Alla fine dell’anno Emiliano passò, ma cambiò scuola. A guardarla ora, credo che avesse tutte le ragioni per farlo. Non l’ho più rivisto. Non l’ho mai neppure incontrato ad una festa di compleanno o, crescendo, in qualche discoteca qui intorno. Ho anche provato a cercarlo su Facebook ma niente. Forse ha cambiato identità e connotati come Remo Williams. Il Supercattivo della Saffi è scomparso nel nulla come un vero villain dei fumetti. Come Ming alla fine di Flash Gordon.

Ho sempre avuto una passione innata per gli outsider, per i cattivi etichettati come tali ed ho sempre avuto paura dei sorrisi smaglianti e dei voltafaccia. Per questo credo che il personaggio più bello di Harry Potter sia il meraviglioso Professor Snape (Severus Piton per chi ama le traduzioni maccheroniche).

La cattiveria, quella del mondo reale e non quella dei fumetti e della letteratura, è sempre la conseguenza di qualcosa. La cattiveria, così come la bontà non esistono di per sé. Chissà se Severus avesse potuto sposare la mamma di Harry e non fosse rimasto vedovo di un amore mai corrisposto. Magari non sarebbe stato così astioso nei confronti della vita.

Chissà se i bambini delle favelas avessero potuto giocare coi playmobil invece che con le pistole che sparano davvero.

Chissà se affacciandosi da una finestra di Scampia si potesse vedere una strada pulita.
Chissà se un viaggio in gommone non fosse preceduto da angoscia e morte.
Chissà se da piccolo quell’assassino fosse stato trattato come un bambino.
Chissà. Forse tante “persone birbe” sarebbero meno incattivite.

E io spero che Emiliano abbia avuto una vita felice, senza portarsi dietro quell’etichetta.

Perché se pensano che tu sia una mela marcia, probabilmente lo penseranno per sempre.

“Always.”

Elogio della Bestemmia alla Toscana

Molto prima di “uscire a riveder le stelle” del Paradiso su RAI Uno, Benigni fu Cioni Mario: l’esempio forse più alto della poetica comica toscana insieme agli schiaffi alla stazione di Monicelli e a “dammi un bacino” di Nuti.
Gli amici burloni di Cioni Mario gli fanno uno scherzo: gli dicono che gli è morta la mamma. Che vuoi che sia.
Mario, zotico di un paese toscano non baciato dai flussi del turismo mordi un cono e scappa, con chi se la prende? Con gli amici? No. Se la prende con Nostro Signore o, quantomeno, con una sua parente stretta. Il regista Bertolucci lo inquadra con un carrello che lo segue di lato. Nel suo incedere per una stradina di campagna, snocciola una serie infinita di improperi che, visti di filato, ancora oggi non sembra possibile possano essere finiti dentro lo schermo di un cinema. Capolavoro.
Ma quello che molti non toscani stentano a capire è che quella sequenza non è comicità grottesca, è puro neorealismo.
La bestemmia in Toscana va scritta con la maiuscola perché la Bestemmia, in Toscana, non ha soltanto il valore dell’imprecazione. In Toscana, la Bestemmia è punteggiatura. E’ creatività. E’ perfino buona educazione.
“Vieni anche te stasera con noi?” “Certo, Dio #*+#!”
E’ partecipazione, è senso di appartenenza.
Ho visto anziani che si rivolgevano ad un tabernacolo dicendo, come se parlassero ad un condomino fastidioso: “Io non ce l’ho mica con te! Io ce l’ho con chi ti prega!”
Oppure il vecchio mezzadro che abitava vicino alla mia casa di campagna che, in piena era berlusconiana, aveva sostituito il nome di Dio con quello di Silvio, per potersi permettere di nominarlo invano senza grossi sensi di colpa. Vista la veneranda età non si sa mai. E se poi te la fa riscontare?
A Siena la Bestemmia si chiama “moccolo”. Mi sono sempre chiesto perché e alla fine mi sono dato una spiegazione: è perché quando ti scappa non c’è modo di trattenerla, come uno starnuto esplosivo con ciò che ne consegue. Altri dicono che il significato è l’antitesi del pio che si inginocchia davanti ad un altare con la candela accesa (il moccolo, appunto).
Ma la cosa più bella è quando sei amico di una persona devota, ti scappa lo starnuto e moccoli perché non ne puoi fare a meno. Quando ci vuole ci vuole. Poi ti rendi conto che con te c’è quell’anima pura che potrebbe essersi offesa e gli chiedi scusa, magari aggiungendo un altro moccolo, così senza volerlo. E più vai avanti e più peggiori la situazione fino a che non allarghi le braccia e spari il moccolo risolutivo che mette il punto in fondo al discorso.
Un giorno da un vinaio entrò una bella ragazza del nord Italia. Di certo non era veneta, altrimenti avrebbe capito. All’ennesimo improperio degli avventori si avvicinò all’oste e gli chiese: “Ma perché voi toscani bestemmiate così tanto?”
L’oste che stava asciugando un gottino con lo strofinaccio le puntò le palle degli occhi e dalle labbra violacee disse: “Signorina, forse è perché noi ci si crede.”

L’immagine è una foto del grande attore toscano Carlo Monni scattata da Niko Giovanni Coniglio