Operetta

L’Operetta vista dal palco

Ore 4 e 28: ho appena lasciato Buzzo in cima a Via San Marco. Lui si butterà giù per il Fosso di Sant’Ansano, io girerò a destra per Via dei Maestri. Trovo uno studente pluribollato con la fidanzata. Mi immagino che per lui la nottata non sia ancora finita. Ci abbracciamo e proseguo. C’è molta nebbia, ma stavolta è fuori e non dentro la testa. Mi sono mantenuto lucido perché me la volevo ricordare tutta. Non ho ancora voglia di andare a letto e imbocco via delle Cerchia per fermarmi a Sant’Agostino: devo finire un sigaro cubano e devo scrivere qualche pensiero che poi si sa, ritrovarli la mattina dopo è sempre difficile. C’è quella sana felicità che fa da sedativo. Non gioia, badate bene, quella ce la può avere solo uno studente; felicità. Una cosa che ti rimane dentro e ci resta, insieme ai bei ricordi. Forse sarà stata l’ultima volta che sono salito su un palcoscenico, chissà. Ma la felicità è quella di avere superato un’altra cosa della vita che non era semplice portare in fondo. La cosa bella di stare sul palco per un’Operetta è che mentre sei sul palco e reciti, vedi uno spettacolo: quel palchetto pieno di citte che tanto citte non sono più; l’addetto alle musiche che frana sul tastierista; il dottore al sax che pensa che la canzone attacchi dopo altre venti battute; il tuo Capitano che ti guarda e ti sorride convinto che tu non lo veda; i goliardi che un tempo ti astiavano che offendono il regista perché non ti ha concesso il bis della canzone; un tuo amico che si è spiaggiato nel loggione; le voci di quelli che hanno comprato il biglietto per vedere L’Operetta al bar del teatro; quel dottorone che soffre di ipertensione e che se non esce a pisciare entro la fine della tua scena si trasformerà in pozzanghera; la mamma di un principe che si sbraccia per tirarti un bacio; l’avvocato che quando lo indichi e dici: “quello è pelato e trippone insieme” prima ride e poi si gira sperando di non essere lui quello che ho indicato, le matricole che ancora non ci stanno capendo niente ma che iniziano ad intuire che sarà un bel mondo. Poi ci sono quelli in scena con te, dal giovane Baliota a quelli con cui recitavi venti anni fa: quel Bancario che tutto l’anno scrive su Facebook cose irripetibili e che continua a trattarti come un suo megabollato, il Chirurgo che ha smarrito il crine ma che non ha mai perso una battuta (la prossima volta fai la donna, però), il Dentista polemico a tutti i costi che però alla fine ti deve dare ragione (anche se la ragione la vuole un pochino anche lui) e il Supercantantone da mille bis che vedi saltellare dietro le quinte come un bambino a cui è stata regalata la pista della Polistil. Ragazzi, non avessimo più di 40 anni vi direi che vi aspetto a maggio per rifare una scena insieme. Vabbè, si andrà a cena. E poi si va a chiedere il bis a quelli giovani, ok?

Per me la libidine di stare sul palco è questa: vedere uno spettacolo che puoi osservare soltanto te, perché per ognuno è diverso. E non c’è mai il bis.

Ora però vado a dormire, con le gambe pesanti e la testa leggera.
Grazie a tutti e buonanotte.

freddie

Tutto e subito: Freddie Mercury nello zaino

Quando uscì “I want it all” avevo 13 anni e per me fu un miracolo. “The miracle” era un album stratosferico e quel “voglio tutto e subito” era un mantra perfetto per un ex bambino che aveva appena appreso che il sesso era una pratica solitaria. Freddie Mercury divenne immediatamente un idolo assoluto per me che divoravo tutti gli album dei Queen con la stessa rapidità con la quale riuscivo a leggere i libri di Stephen King. All’epoca non c’era Napster e men che mai Spotify. Così dovevi trovare qualche amico più grande e con una paghetta più sostanziosa della mia per farmi duplicare le cassette che finivano per arrotolarsi malamente dentro qualche walkman da quattro soldi.
Tutto e subito. Come la voglia di provare a mettere in fila esperienze che, a tredici anni consideri necessarie per poter affrontare il giorno dopo.
Poi venne “Innuendo” e, se possibile, mi piacque ancora di più consolidando l’amirazione per quel talento che sembrava tale anche a un adolescente che di musica se ne intendeva davvero poco.
Avevo uno zaino Invicta. Come tutti. E come tutti ci avevo scritto sopra con l’Uniposca. Ci scrissi “Freddie” tanto per ribadire chi fosse il mio riferimento. All’epoca non era molto figo: i bojovisti spaccavano e beccavano parecchio di più. E infatti dovetti convivere per qualche anno con la mia condizione di sfigato queenniano con lo zaino macchiato.
Nel 1991 avevo 16 anni e alla fine di novembre ripresi il pennarello per aggiungere accanto a quel nome “is still alive”, come se un ragazzino potesse con una frase mettere da parte la morte.
Non era la prima volta che mi confrontavo con la perdita di un idolo. Pochi mesi prima se n’era andato il mio nonno materno che, sebbene non avesse mai scritto “Bohemian Rapsody”, era per me una rock star. Perché la vita è un po’ così, abbiamo bisogno di soffrire per le perdite lontane per nasconderci sotto la polvere quelle che ci toccano da vicino.
L’uscita di scena di Freddie Mercury è stato una bella lezione arrivata nel momento giusto. “The show must go on”. Col passare degli anni ho capito che non si può avere tutto. E più che altro non puoi averlo subito. E che, per quanto tu abbia la più bella voce del mondo, c’è sempre qualcuno che prima o dopo ti presenta il conto.

Alla fine della scuola quello zaino dovetti buttarlo via da quanto era consumato.
Ma dopo 25 anni per me “Freddie is still alive”.

sipa

50.000 sfumature di wow

Amare la propria città significa contribuire, quando possibile, a farne parlare bene. Di questo ne sono convinto. E’ per questo che, insieme a Giango, l’agenzia con la quale collaboro, abbiamo deciso di prestare il nostro lavoro per la realizzazione di questo video che è stato il momento di apertura del premio internazionale di fotografia Siena Art Photo Travel. Personalmente ho ideato il concept e lavorato ai testi. E’ stato abbastanza semplice, primo perché si lavorava insieme a Moviement Hd, che per me è un’eccellenza del nostro territorio per quanto riguarda la produzione video grazie a Barbara, Riccardo, Tommaso, Raffaele e Francesca, secondo perché conosco Luca Venturi, ideatore e organizzatore dell’evento, da molti anni. Con lui abbiamo collaborato in passato su un bellissimo progetto per i bambini africani: Gabnichi. Luca è un visionario e ce ne vorrebbero una cinquantina nella nostra città. Ha portato la sua passione per la fotografia a diventare uno dei più importanti festival fotografico del mondo in soli due anni. Tra le foto in mostra ci sono scatti di persone che potete trovare sulle più importanti riviste internazionali: Melissa Farlow, Timothy Allen, Majid Saeedi, Luca Bracali, Vittorio Guida, Francesco Cito, Marco Urso e tantissimi altri.

Quando ci è stato chiesto di pensare a come raccontare questo evento in un video di due minuti ho pensato che ogni giorno, per staccare la testa dal lavoro mi metto a ragionare una mezz’oretta appoggiato ai colonnini in fondo alla Costarella. Vedo arrivare decine di turisti che per la prima volta nella vita vedono Piazza del Campo. E’ bello osservare le loro espressioni di stupore. Molti di loro non ce la fanno a non dire: “wow”!

“Wow” è proprio quello che ho pensato quando mi sono state mostrate in anteprima le foto che partecipavano al concorso. Ci sono delle cose incredibili. Ragazzi, la fotografia è la forma di comunicazione più emozionale, non c’è niente da fare. Ti fa battere il cuore.

Ho cercato di fare un tuffo nella testa di questi artisti della macchina fotografica e sono venute fuori “50.000 sfumature di wow”. Perché 50.000 sono le foto tra cui i giurati hanno dovuto scegliere le migliori.

Guardate il video e ditemi se vi piace. Ma soprattutto andate a visitare le mostre che sono aperte ancora per due settimane. Ne vale davvero la pena.

Trovate tutte le informazioni sugli orari qui: www.artphototravel.it/sedi-espositive/

La foto di testata è di Danny Yen Sin Wong (MY) ed è la prima classificata nella categoria “Libero colore”

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La voce di Bubba

Una delle cose più tremende che ti può capitare quando cominci a fare le Feriae è presentarti senza disporre di un soprannome consolidato e autorevole. A me andò abbastanza bene: quando gli anziani mi chiesero chi (cazzo) fossi e risposi “Tagliatella”, quel soprannome alimentare passò il vaglio quasi senza problemi. Vabbè, iniziarono le storpiature inevitabili per cui per qualcuno di quelli più vecchi di me sono ancora: “Taglialatela”, “Tagliata”, “Taglias”, “Tà”, Tagliamerda”. La maggior parte di chi mi conosce mi chiama “Taglia” e, dato che di taglie ne ho cambiate molte andando e venendo dalla 46 alla 60, mi sembra appropriato.

 

Il problema è per chi il soprannome non ce l’ha all’inizio della sua carriera goliardica. In quel caso i famelicissimi fagioli si sbizzarriscono inventando epiteti che vanno dalla ricerca di un’improbabile somiglianza fisica con qualche celebrità internazionale o locale (vedi “Cartesio” o “Rondone”, “Jimmy Vecchio”), o una caratteristica anatomica (es. “Testa”, “Sguardone”, “Buzzo”, “Birillo”). E fino a qui tutto bene, diciamo. C’è poi il caso in cui il soprannome è unicamente dispregiativo e dato solo per un infausto aneddoto racimolato durante una sbornia clamorosa. Questo tipo di soprannome te lo porti dietro malvolentieri anche perché quando sarai in Balia o addirittura Principe, non sarà facile presentarsi come Schizzapiscio, Canale della Merda, Kakkola, Mangiamerda, o Sputo.

 

Ero fagiolo quando iniziò a fare le Feriae da matricola quello che secondo me è il più grande cantante goliardico degli ultimi 25 anni (dopo Roby Ricci, si intende). Si presentò come Andrea e vedendo dei labbroni africani che ricordavano quelli del migliore amico di Forrest Gump che gestiva barche di gamberi e che quando diluviava gli pioveva in bocca, lo soprannominammo “Bubba”.

Che voce che c’ha Bubba! Avrà fatto 100 bis nelle varie rappresentazioni della sua vita da attore di operette. L’altra sera l’ho visto riprovare il Mascara (successo dell’anno 2000 cantato in coppia con Nix). Eravamo in una decina dentro una stanza che sembrava una camera iperbarica a gas tanto era il caldo e il fetore. C’erano i musicisti, il responsabile delle musiche Amalio, l’autore del “Mascara” Buzzo e alcuni guardoni come me. Quando è partita la voce di Bubba si è rizzato il pelo sulle braccia a tutti. E qualcuno c’aveva anche “la gocciola”.

Che libidine! Aveva ragione l’ottimo Forrest Gump. I compagni di scena nell’operetta sono come una scatola di cioccolatini; non sai mai quello che ti tocca. A me è toccato il meglio.

Se volete venire a vederci, venerdì 25 e sabato 26 novembre per l’Operetta straordinaria “Una città di scienziati” ci siamo anche noi, insieme ad un’altra cinquantina di cioccolatini più o meno saporiti.

 

rissa

Il NO nell’era del SI (La rissa perfetta)

“Ho un’idea ganza. Per prendere una decisione difficilissima si chiama la gente a votare e gli si fa dire o SI o NO, almeno si capisce chiaramente come la pensano. Lo chiamerei Referendum, per dargli un nome ganzo e che ricordi l’autorevole saggezza della LEX latina. Che dici?”
“Bello Matteo, mi garba!”
“Però, siccome la democrazia è ganza solo se la gente può esprimere il diritto di pensarla come vuole, chi dice NO è uno stronzo.”
“Ma sei sicuro?”
“Si”
“E chi dice SI?”
“Chi dice SI lo facciamo dividere in 10.000 gruppetti che se le danno di santa ragione, dove ognuno pensa di essere più ganzo di quegli altri. Però dicono tutti SI”

“Sei sicuro?”

“Sì”

“E quelli del No che fanno?”

“Se le danno di santa ragione tra loro. Anche loro. Tanto gli garba.”


“Geniale! Ma scusa Matteo, per fare questo te sei stato eletto democraticamente, vero?”
“No. Ma l’importante è che la gente pensi di Sì

“Matteo, lo sai qual è la targa di Siena?”
“NO!”

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I Radio Dead

Mi sembra di intuire che questo 2016 non sia stato un anno molto gentile con le grandi personalità della scena musicale di tutto il mondo. Quando leggo la notizia, quasi sempre accade su Facebook o Twitter, mi dispiace, ci patisco, mi commuovo. Poi, nell’arco di 12/13 ore divento il primo tra gli “haters” della defunta celebrità. Oggi, ad esempio ho ascoltato più volte “Halleluyah” io di quante non ne abbia sentite l’amico diventato diacono, durante quattro anni di seminario. Grande, grandissimo Cohen, massimo rispetto per il suo talento. Ma perché farcelo odiare in così brave tempo condividendo tutti il suo capolavoro a nastro? E’ una domanda a cui ho cercato di dare una risposta e, siccome la logica non mi viene incontro, ho cercato di ricavare la risposta in maniera del tutto illogica.

Ipotesi 1: Tutti i condivisori sono convinti che con l’inizio della decomposizione si cancellino anche le tracce musicali. “Vuoi vedere che dopodomani non posso più sentire “Thriller”!!! Fammelo condividere per sicurezza, vai!”  Tranquilli ragazzi, Mozart non puzza neanche più, eppure…

Ipotesi 2: Ogni persona è convinta di essere l’unica ad avere accesso alla discografia di David Bowie, Prince, Freddie Mercury, Pino Daniele e ci vuol far sentire la loro produzione musicale per la prima volta. “Ehi, sentite questo qua che ha fatto!!! “Let’s dance”! Ditemi grazie!”, “Lo sapete cosa ha scritto Pino? “Napule è”! Forte no?” “Senti, senti “Somebody to leve” che ne pensi?”

Ipotesi 3: Ognuno pensa che Facebook funzioni come nascondino in cui si deve essere i primi  a fare tana. In questo caso “fare tana” equivale a condividere un brano dell’autore che si è appena spento e farlo prima degli altri. Spesso però non riesce perché la moglie dell’artista lo fa prima di te. Nel caso fosse vera questa ipotesi sono sicuro che l’eventuale decesso simultaneo dei Pooh sarebbe “tana libera tutti”.

Ipotesi 4: Forse la gente pensa che condividere quel pezzo: “E’ sempre meglio che condividere il mio gatto. Che poi tra l’altro non so neanche fare le foto.”

Ipotesi 5: Ostentare la propria cultura musicale. Qui l’unico autorizzato a farlo è il mio amico Emilio che ha visto più concerti che telegiornali. Per tutti gli altri, è bene sapere che non bastano 9 euro al mese di Spotify per diventare critico musicale.

Non so se qualcuna di queste ipotesi sia valida. Penso che siamo proprio strani e che fondamentalmente il gruppo musicale più condiviso su Facebook siano i “Radio Dead”. Che quest’anno stanno diventando tanti come un coro gospel.

una città di scienziati

Il ritorno dello Jackyill

Era il mio ultimo anno di università quando mi inventai “Lo strano coso del Dottor Jackyill”: l’operetta voluta dal Principe Carlino Pini per il glorioso anno goliardico 2000. La regia era di Luca Virgili (noto per il grande, grandissimo pubblico come Fresco). Le canzoni di Francesco Marchetti (Sogliola) e Carlo Lorenzini (Buzzo). Tra tutte le canzoni spicca sicuramente il Mascara, cantata egregiamente da Bubba e Nix, oggi rispettivamente professore di lettere e dentista. La strana fissa del Dottor Jacyill era inventare una cosa che, arrivato alla tenera età di 50 anni non aveva mai visto, neppure dipinta. E così si dipanavano due ore di battute tra crisi di nervi, Regine d’Inghilterra, guerrieri Maori, guardie di Buckingham Palace e mostri vari.
Molti sostengono, con buona ragione, che ogni cosa abbia il suo tempo. E spesso sono d’accordo anche io. Però, quando mi è stato chiesto di riportare una scena del Jackyill sul palco dei Rozzi, all’interno dell’Operetta “Una città di scienziati”, non c’ho pensato un attimo a non dire di sì.

I motivi sono molti: il primo è perché ritrovare in scena amici che si erano allontanati per vari motivi della vita, è ganzissimo. Secondo perché rivedendo alcune scene abbiamo riscoperto che erano buffe per davvero, terzo, perché invecchiare, ve lo giuro, è una gran cacata e a noi non ci garba.

State tranquilli, io e Rotolone non siamo mai in scena insieme per cui il palco reggerà. Ci saranno anche il Mascara e canzoni anche più belle di altre operette. Il bollore sale.

“Una città di scienziati” è una raccolta di molte scene tratte da varie operette che mostrano la capacità dei goliardi senesi di prendere in giro il potere di turno in città.

Se non avete di meglio da fare (anche perché non c’è niente di meglio da fare) saremo in scena il 25 e 26 novembre prossimi. E non ci sarà solo Jackyill, ci saranno tanti personaggi delle operette dal 2000 a oggi, interpretate da dottori e studenti insieme. I biglietti rimasti per vedere le due rappresentazioni di “Una città di scienziati” sono pochi, quelli che ci sono li trovate dal Nannini tutti i giorni dalle 12.30 alle 13.30 e dalle 19.30 alle 20.30.

Noi ci si sta divertendo. Se volete, potete farlo anche voi.

PS: Le Ferie sono e rimarranno degli studenti. Dottori, culo! Compreso Jackyill.

In testata la locandina dell’Operetta è opera di Mido

coubert

Odor di presidenza

La realtà è evidente: c’è una cosa che inizia per P e che piace un po’ a tutti.

Il Potere, si intende.

E non è per il denaro, è proprio per il Potere.
Non vi fate gabbare: il Potere piaceva anche a Gandhi, a Madre Teresa e a Papa Wojtyla. E loro non erano proprio degli assatanati di sesso, diciamocelo.

E’ che se una persona manifesta contemporaneamente la sua immensa smania di scaldare una poltrona e contemporaneamente la sua immensa smania di accoppiarsi con chicchessia, per noi persone medie del primo ventennio degli anni 2000 non va bene. E ci spingiamo oltre: la seconda cosa per noi è molto più deprecabile.

Badate bene, il prurito sessuale, se esternato singolarmente da chi non ha velleità di candidatura può farcii diventare delle star. Prendete Valentina Nappi, o Madonna, o Miley Cyrus. Ma se un candidato si mette a cavallo di una palla per demolire palazzi oppure fa un video in cui lecca un martello, spalancati cielo. Non si fa!!!

Non ci piace un Presidente che ha le stesse manie di Bill Cosby ma ci accontentiamo di gente che non ha la minima idea di come uscire dalla crisi, di come far quadrare i conti, di dare precedenza ai giovani invece che alle lobby.

Non lo so, sono combattuto. Mi ero illuso che con il cambio del marchio del Gruppo Fiat in FCA, in parte avremmo superato questo problema ma evidentemente non è così. Ci hanno stordito con una campagna elettorale fatta di insulti. Ci hanno fatto credere fino all’ultimo che il candidato meno incline al “basta respirino” fosse quello migliore e abbiamo anche perdonato quel debosciato di suo marito, che abbiamo guardato con disprezzo per un paio di decenni dopo che aveva fatto uscire il merlo dalla gabbia in maniera del tutto impropria.

Ci siamo autoconvinti che il problema di Silvio fossero i rapporti avuti con Ruby e non quelli con Mangano. Ci hanno fatte vedere il dito invece della luna e vi assicuro che era il dito medio.

Abbiamo imparato che quella cosa che piace a tutti, noi non ce la possiamo permettere e che è meglio dirci #staisereno, il tuo momento non è esattamente #adesso. Ci siamo rassegnati, c’è anche chi è sceso in piazza mandando tutti a quel paese e ancora quella cosa che piace a tutti non l’abbiamo nemmeno annusata.

Non è il nostro turno, evidentemente.

Però oggi, con tutto quello che è successo in America ci viene una domanda: “Va bene! Niente Potere, ma almeno un po’ di fica???”

Stanotte ho capito perché siamo infelici: perché ci hanno insegnato che comandare è meglio che fottere.

E a noi, poveri mortali senza potere e poco attivi sessualmente, non resta che sfogarci con le solite masturbazioni mentali.

“Comandare è meglio che fottere. Ma anche fottere ha il suo perché!” (D. Trump, libera interpretazione)

Ps. L’immagine è uno scatto dell’opera “L’Origine del Mondo” di Gustave Courbet

stand-by-me

Il bellissimo fetore dell’amicizia maschile

Uno dei racconti della mia adolescenza è “Stand by me” di Stephen King. Lo lessi durante una brutta tonsillite all’età di 14 anni. Era estate e fu un’illuminazione. Un gruppo di ragazzini miei coetanei si avventurava lungo i binari di un treno alla ricerca del cadavere di un altro quattordicenne. La trama era un pretesto: la protagonista del libro non era la ricerca del morto ma l’ineluttabile brevità dell’amicizia sincera che, con il passare degli anni, si trasforma in distaccato affetto e in una progressiva crescita della formalità del rapporto. I protagonisti di quel racconto, e del bel film che ne fu ricavato, si scambiavano insulti, si chiedevano perché se Pluto era un cane, Pippo, pur essendo cane anche lui, camminasse su due zampe e indossasse dei vestiti da uomo. Un rapporto manesco e sudaticcio…ma più vero del vero.

L’amicizia tra maschi è qualcosa di molto particolare e difficile da descrivere. Noi siamo tendenzialmente superficiali. Possiamo parlare di argomenti profondissimi, che c’entra, ma c’è sempre qualcuno che prima o dopo, la spara in tribuna. C’è il perverso gioco, anche superati abbondantemente i 35 anni, dell’offendersi pesantemente a vicenda non risparmiando, nel turbine di improperi, anche le povere madri. Prendere in giro i difetti dell’altro non è un opzione, è una regola. E poi ci sono i “puzzi”. L’amicizia tra uomini, quando si basa su rapporti di lungo corso, si appoggia sulla confidenza estrema nel condividere le proprie flatulenze. E c’è sempre un coro di “nooo, ma sei marcio” con un sottofondo di sghignazzi di complice approvazione.

Non riesco a spiegarmi il perché ma funziona proprio così: più l’amicizia è vera e più puzza. Probabilmente per ricordarsi sempre che di un amico vero bisogna prendere tutto: pregi e difetti. Abbracci e scoregge. Ieri sono tornato da un viaggio con gli amici. Ci siamo salutati abbassando il finestrino e qualcuno ha detto: “Grazie di tutto, ma qui qualcuno fa schifo per davvero”.

Che ci vuoi fare, pareva di essere tornati a quattordici anni. All’epoca in cui ci si voleva bene da morire…soffocati.

L’immagine è un fotogramma del film “Stand by me” di Rob Reiner, tratto dall’omonimo racconto di Stephen King.