omino col cappello

Teorema dell’ambulanza: l’importanza del sapersi mettere da parte.

Il terribile incontro di un’ambulanza con la sirena spiegata e il sempreverde Omìno col Cappello, sulla sua potente autovettura: una metafora dell’Italia.

Ci sono, nella vita di tutti i giorni, delle metafore che, nel momento in cui accadono, hanno il potere di farti riflettere. Ero in tangenziale che andavo alla svelta verso Dovemipare, amena località immersa nel verde tra Sarannocazzimiei e Fattiicazzituoi, quando ho sentito in lontananza una sirena che diventava sempre più forte e più vicina. Io e gli altri che erano sulla strada come me, abbiamo messo la freccia e abbiamo accostato per far passare l’ambulanza. Tutti, tranne un meraviglioso vecchietto stile Mr Magoo che, immagino a causa di una conclamata sordità, continuava a procedere a 60 km all’ora con la linea di mezzeria posizionata perfettamente al centro della propria Fiat Panda (quella fatta con l’accetta, per capirsi). Le braccia accorciate per avvicianare il petto al volante nella speranza che, accostando gli occhi al parabrezza, sarebbero tornate quelle diottrie ormai perdute con l’incedere dell’età.

L’ambulanza, non potendo clacsonare, vista la presenza della sirena già attiva, ha iniziato a sfarettare, ma l’imperterrito signore ha continuato a procedere in direzione ostinata e fortunatamente non contraria, fino a quando, sotto gli occhi di una fila di macchine ferme con la freccia lampeggiante, non sono sparite entrambe, la Panda e l’ambulanza, a 6o all’ora dietro la prima curva. Ho sentito la sirena allontanarsi lentamente e, mentre le macchine davanti a me rientravano sulla strada, mi sono chiesto quanto tempo ci sia voluto all’ambulanza per arrivare a destinazione.

Mi sono chiesto chi ci fosse sull’ambulanza: magari era un coetaneo di quell’omino, colpito da trombosi, che aveva già tirato il calzino, magari c’era una ragazza appena caduta di motorino, o una donna che stava per partorire, o un cittino arrotato sulle strisce. Ho sperato di no, che i volontari avessero soltanto fretta e avessero deciso, all’italiana, di accendere la sirena per scroccare un passaggio veloce in una tangenziale vuota. Perché poi succede sempre così, quando qualcosa ti disturba scegli sempre il male minore. Che non è mai la cosa giusta.

E’ qui che parte il ragionamento sulla metafora: per quanto si dica: “largo ai giovani”, “lasciamo spazio alle nuove generazioni”, “facciamo sistema”, ” facciamoci da parte”, basta che ci sia qualcuno che non intende mettersi di lato e lasciare il passo, e tutto è bloccato. Il teorema dell’ambulanza funziona solo se tutti capiamo che quando c’è qualcosa che merita di passare avanti ai nostri interessi, il vantaggio per tutti è quello di mettere la freccia e fermarsi. Perché un giorno su quell’ambulanza ci si potrebbe essere noi, con la nostra priorità.

Perché è vero che la strada è di tutti; ma basta un omìno col cappello (o senza) che si metta di traverso e tutto questo parlare di cambiamento, di futuro, di civiltà, si ferma come una fila di macchine sul ciglio della strada che non possono fare altro che offendere quell’omino di merda, in un post su Facebook. O pensare di votare il primo che ti dice che le Panda andrebbero rottamate. O, peggio, al movimento di quelli che vogliono abolire gli omìni col cappello.

PS. Secondo voi dove andava quel Signore? Secondo me era diretto a Matelovai, frazione di Tubbattessi. Sì, ma con calma, eh.

Estate inverno

Notizia shock: d’estate fa caldo, d’inverno fa freddo.

Non ho mai compreso, ma forse un giorno mi potrete illuminare, il motivo di questa moderna necessità di esternare cose lapalissianamente lapalissiane. La notizia del giorno è che oggi fa freddo, lo avevano detto gli esperti del meteo e anche il calendario poteva darci una mano a capirlo, dal momento che siamo al 7 di gennaio. Eppure vedo molti amici che postano su Facebook la notizia imprevista che fuori si agganghisce, con dovizia di foto del termometro dell’auto, selfie col berretto, il manicotto e i guanti.

Facebook ha tante facce, ma quella della pubblicazione dell’ovvietà ë tra quelle che, per antitesi, mi lascia maggiormente stupito. Il 5 agosto ci direte che fa caldo, vi dividerete in caldisti e diaccisti, litigherete su una veritá che tutti conoscono. Oppure a marzo commenterete la bomba d’acqua pronosticata da giorni con un: “Mira come viene!”.
Ci lascerete senza parole quando ci farete vedere che anche quest’anno, il 26 giugno c’è già la terra in Piazza, evento che, a sorpresa, si ripeterà verso il 10 agosto. Passare un altro anno imprevedibile sui social con voi sarà una scoperta dopo l’altra e quando accadrà una nevicata a luglio non sapremo più cosa dire per sorprenderci.

Ps. Non vorrei spoilerarvi ma pare che il 21 marzo, inizierà la primavera. Segnatevelo da qualche parte e ricordatecelo quel giorno.

senza offesa

“Senza offesa” è un’offesa

Stasera stavo tornando a casa e ho incontrato due giovani che somigliavano ai due hippie di “Un sacco bello”, tutti e due coi rasta colorati. Lei fa a lui: “Scusa ma, perché quella mi ha detto, senza offesa?” e lui a lei: “Mah? Saranno stati i capelli!”

Ho provato a immaginare il tipo di incontro che avevano appena fatto, magari con una donnetta di ennemila anni dentro ad un fruttivendolo, o con una donnina con cane piccolo e cappello. E mi sono messo a ridere pensando che effettivamente, “senza offesa” è un’offesa. Senza dubbio.

Ho cercato di ricordarmi di tutte le volte che mi è capitato di sentirlo e proprio mai era per fare un complimento. Sì, ma senza offesa però.

Tipo quando ero in profumeria e alla nauseabonda studentessa in fila davanti a me che aveva appena comprato dei detersivi, la commessa mise nella borsa dei campioncini di profumo: “Senza offesa!”

Oppure quando al ristorante, il cameriere, guardandomi, mi mise sul tavolo un pezzo di dolce avanzato al compleanno accanto: “Lo mangi te, vero? Senza offesa!”

O quando alla giovane vedova che aveva noleggiato un tristissimo film d’amore, il ragazzo del Blockbuster regalò i pop corn: “se le fa piacere, senza offesa!”

Oppure di quella volta che l’allenatore mi spostò dall’attacco alla difesa, tanto io goal non lo facevo: “senza offesa, eh!”

O ogni volta che a un omino che sta ritto coi fili, qualcuno in tram dice: “Si metta a sedere qui, senza offesa!”

O anche quando all’amica che aveva rotto a metà il tappo di una bottiglia di Brunello, strappai di mano il cavatappi e dissi: “Faccio io… Senza offesa!”

O quando ero in gita a vedere i cunicoli della Napoli sotterranea e il buontempone che faceva da guida mi disse: “Guagliò è stretto! E’ meglio se ti metti ultimo, senza offesa!”

E io gli risposi: “Tu stiantassi! Senza offesa!”