“Senza offesa” è un’offesa

senza offesa

Stasera stavo tornando a casa e ho incontrato due giovani che somigliavano ai due hippie di “Un sacco bello”, tutti e due coi rasta colorati. Lei fa a lui: “Scusa ma, perché quella mi ha detto, senza offesa?” e lui a lei: “Mah? Saranno stati i capelli!”

Ho provato a immaginare il tipo di incontro che avevano appena fatto, magari con una donnetta di ennemila anni dentro ad un fruttivendolo, o con una donnina con cane piccolo e cappello. E mi sono messo a ridere pensando che effettivamente, “senza offesa” è un’offesa. Senza dubbio.

Ho cercato di ricordarmi di tutte le volte che mi è capitato di sentirlo e proprio mai era per fare un complimento. Sì, ma senza offesa però.

Tipo quando ero in profumeria e alla nauseabonda studentessa in fila davanti a me che aveva appena comprato dei detersivi, la commessa mise nella borsa dei campioncini di profumo: “Senza offesa!”

Oppure quando al ristorante, il cameriere, guardandomi, mi mise sul tavolo un pezzo di dolce avanzato al compleanno accanto: “Lo mangi te, vero? Senza offesa!”

O quando alla giovane vedova che aveva noleggiato un tristissimo film d’amore, il ragazzo del Blockbuster regalò i pop corn: “se le fa piacere, senza offesa!”

Oppure di quella volta che l’allenatore mi spostò dall’attacco alla difesa, tanto io goal non lo facevo: “senza offesa, eh!”

O ogni volta che a un omino che sta ritto coi fili, qualcuno in tram dice: “Si metta a sedere qui, senza offesa!”

O anche quando all’amica che aveva rotto a metà il tappo di una bottiglia di Brunello, strappai di mano il cavatappi e dissi: “Faccio io… Senza offesa!”

O quando ero in gita a vedere i cunicoli della Napoli sotterranea e il buontempone che faceva da guida mi disse: “Guagliò è stretto! E’ meglio se ti metti ultimo, senza offesa!”

E io gli risposi: “Tu stiantassi! Senza offesa!”

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