rissa

Il NO nell’era del SI (La rissa perfetta)

“Ho un’idea ganza. Per prendere una decisione difficilissima si chiama la gente a votare e gli si fa dire o SI o NO, almeno si capisce chiaramente come la pensano. Lo chiamerei Referendum, per dargli un nome ganzo e che ricordi l’autorevole saggezza della LEX latina. Che dici?”
“Bello Matteo, mi garba!”
“Però, siccome la democrazia è ganza solo se la gente può esprimere il diritto di pensarla come vuole, chi dice NO è uno stronzo.”
“Ma sei sicuro?”
“Si”
“E chi dice SI?”
“Chi dice SI lo facciamo dividere in 10.000 gruppetti che se le danno di santa ragione, dove ognuno pensa di essere più ganzo di quegli altri. Però dicono tutti SI”

“Sei sicuro?”

“Sì”

“E quelli del No che fanno?”

“Se le danno di santa ragione tra loro. Anche loro. Tanto gli garba.”


“Geniale! Ma scusa Matteo, per fare questo te sei stato eletto democraticamente, vero?”
“No. Ma l’importante è che la gente pensi di Sì

“Matteo, lo sai qual è la targa di Siena?”
“NO!”

coubert

Odor di presidenza

La realtà è evidente: c’è una cosa che inizia per P e che piace un po’ a tutti.

Il Potere, si intende.

E non è per il denaro, è proprio per il Potere.
Non vi fate gabbare: il Potere piaceva anche a Gandhi, a Madre Teresa e a Papa Wojtyla. E loro non erano proprio degli assatanati di sesso, diciamocelo.

E’ che se una persona manifesta contemporaneamente la sua immensa smania di scaldare una poltrona e contemporaneamente la sua immensa smania di accoppiarsi con chicchessia, per noi persone medie del primo ventennio degli anni 2000 non va bene. E ci spingiamo oltre: la seconda cosa per noi è molto più deprecabile.

Badate bene, il prurito sessuale, se esternato singolarmente da chi non ha velleità di candidatura può farcii diventare delle star. Prendete Valentina Nappi, o Madonna, o Miley Cyrus. Ma se un candidato si mette a cavallo di una palla per demolire palazzi oppure fa un video in cui lecca un martello, spalancati cielo. Non si fa!!!

Non ci piace un Presidente che ha le stesse manie di Bill Cosby ma ci accontentiamo di gente che non ha la minima idea di come uscire dalla crisi, di come far quadrare i conti, di dare precedenza ai giovani invece che alle lobby.

Non lo so, sono combattuto. Mi ero illuso che con il cambio del marchio del Gruppo Fiat in FCA, in parte avremmo superato questo problema ma evidentemente non è così. Ci hanno stordito con una campagna elettorale fatta di insulti. Ci hanno fatto credere fino all’ultimo che il candidato meno incline al “basta respirino” fosse quello migliore e abbiamo anche perdonato quel debosciato di suo marito, che abbiamo guardato con disprezzo per un paio di decenni dopo che aveva fatto uscire il merlo dalla gabbia in maniera del tutto impropria.

Ci siamo autoconvinti che il problema di Silvio fossero i rapporti avuti con Ruby e non quelli con Mangano. Ci hanno fatte vedere il dito invece della luna e vi assicuro che era il dito medio.

Abbiamo imparato che quella cosa che piace a tutti, noi non ce la possiamo permettere e che è meglio dirci #staisereno, il tuo momento non è esattamente #adesso. Ci siamo rassegnati, c’è anche chi è sceso in piazza mandando tutti a quel paese e ancora quella cosa che piace a tutti non l’abbiamo nemmeno annusata.

Non è il nostro turno, evidentemente.

Però oggi, con tutto quello che è successo in America ci viene una domanda: “Va bene! Niente Potere, ma almeno un po’ di fica???”

Stanotte ho capito perché siamo infelici: perché ci hanno insegnato che comandare è meglio che fottere.

E a noi, poveri mortali senza potere e poco attivi sessualmente, non resta che sfogarci con le solite masturbazioni mentali.

“Comandare è meglio che fottere. Ma anche fottere ha il suo perché!” (D. Trump, libera interpretazione)

Ps. L’immagine è uno scatto dell’opera “L’Origine del Mondo” di Gustave Courbet

stand-by-me

Il bellissimo fetore dell’amicizia maschile

Uno dei racconti della mia adolescenza è “Stand by me” di Stephen King. Lo lessi durante una brutta tonsillite all’età di 14 anni. Era estate e fu un’illuminazione. Un gruppo di ragazzini miei coetanei si avventurava lungo i binari di un treno alla ricerca del cadavere di un altro quattordicenne. La trama era un pretesto: la protagonista del libro non era la ricerca del morto ma l’ineluttabile brevità dell’amicizia sincera che, con il passare degli anni, si trasforma in distaccato affetto e in una progressiva crescita della formalità del rapporto. I protagonisti di quel racconto, e del bel film che ne fu ricavato, si scambiavano insulti, si chiedevano perché se Pluto era un cane, Pippo, pur essendo cane anche lui, camminasse su due zampe e indossasse dei vestiti da uomo. Un rapporto manesco e sudaticcio…ma più vero del vero.

L’amicizia tra maschi è qualcosa di molto particolare e difficile da descrivere. Noi siamo tendenzialmente superficiali. Possiamo parlare di argomenti profondissimi, che c’entra, ma c’è sempre qualcuno che prima o dopo, la spara in tribuna. C’è il perverso gioco, anche superati abbondantemente i 35 anni, dell’offendersi pesantemente a vicenda non risparmiando, nel turbine di improperi, anche le povere madri. Prendere in giro i difetti dell’altro non è un opzione, è una regola. E poi ci sono i “puzzi”. L’amicizia tra uomini, quando si basa su rapporti di lungo corso, si appoggia sulla confidenza estrema nel condividere le proprie flatulenze. E c’è sempre un coro di “nooo, ma sei marcio” con un sottofondo di sghignazzi di complice approvazione.

Non riesco a spiegarmi il perché ma funziona proprio così: più l’amicizia è vera e più puzza. Probabilmente per ricordarsi sempre che di un amico vero bisogna prendere tutto: pregi e difetti. Abbracci e scoregge. Ieri sono tornato da un viaggio con gli amici. Ci siamo salutati abbassando il finestrino e qualcuno ha detto: “Grazie di tutto, ma qui qualcuno fa schifo per davvero”.

Che ci vuoi fare, pareva di essere tornati a quattordici anni. All’epoca in cui ci si voleva bene da morire…soffocati.

L’immagine è un fotogramma del film “Stand by me” di Rob Reiner, tratto dall’omonimo racconto di Stephen King.

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La celebrità nell’era dell’endorsement

Ricordate come era bello quando a dirci come votare era il politico di cui ci fidavamo? C’era un referendum e se Pannella o Berlinguer parlavano e dicevano che erano per il Sì, magari Almirante o Andreotti dicevano di votare No. Era facilissimo. I follower (all’epoca non si chiamavano così) di Pannella, Berlinguer, Andreotti e Almirante, avrebbero saputo esattamente cosa fare.
Oggi viviamo invece nella straordinaria “era dell’endorsement” dove, visto che nessuno si fida più dei politici, i politici chiedono, non sempre gratuitamente, il favore a illustri personaggi dei settori più disparati di esprimersi. La speranza è che i loro follower (oggi si chiamano così), siano in questo modo convinti ad orientarsi da una parte o dall’altra.
Così se il Sì getta l’Asso di Cuori, vincitore di Premio Oscar, il No controbatte con l’Asso di Bastoni, vincitore di Premio Nobel, con un endorsement estorto post mortem.
Quelli del Sì buttano giù la Donna di Spade, campionessa paralimpica e il No risponde con il Re di Picche, professore costituzionalista. Il problema è che noi uomini medi, che veneriamo i nostri idoli, siamo disarmati e non sappiamo più da che parte votarci. E votare.
Mettiamo che uno fosse il primo dei fan degli Avengers e scoprisse che Hulk e Capitan America voteranno No mentre Iron Man e Thor sono assolutamente convinti che basta un Sì. Come si può tradire uno dei nostri beniamini?
La situazione è a dir poco ingarbugliata: su ognuno dei due fronti si trovano personaggi per cui abbiamo fatto la fila ai concerti e contemporaneamente gente di cui abbiamo bruciato i cd.

Lo stato dell’arte è più o meno questo:

VOTERANNO SI: Stanley Kubrick, Alvaro Vitali, Alvaro Soler, Alvar Aalto, Gino Bramieri, Adolf Hitler, Gandhi, Papa Giovanni XXIII, Dante Alighieri, Rita Levi Montalcini, Nilde Iotti, John Fitzgerald Kennedy, Zio Michele di Avetrana, Abele, La Sora Lella, Bilbo Baggins, L’Omino della Bialetti, Fausto Coppi, Zico, Sandra Mondaini, Voldemort, Pisolo, Gianni Togni, Rocky Balboa.

VOTERANNO NO: Oliver Hardy, Frank Sinatra, Charles Manson, Roman Polanski, Bombolo, Raimondo Vianello, Padre Graziano, Papa Winnie, Romina, Al Bano, Tex Willer, Dylan Dog, il Joker, Tina Anselmi, Palmiro Togliatti, il Dalai Lama, l’Uomo del Monte, Isacco, Frodo Baggins, Ron, Red Canzian, l’Omino Michelin. i Ghostbusters, Rambo, Ivan Graziani.

Come posso fare uno sgarbo a Ivan Graziani? Ma neanche posso andare contro Rocky Balboa. E se Rambo poi se ne offende? Ok, farò quel che dice Tex Willer. Ma forse è meglio seguire Bilbo.
Sembra di assistere ad un Royal Rumble di Celebrity Deathmatch dove dei famosissimi pupazzi se le danno di santa ragione. Chissà poi per cosa.

Se qualcuno mi aiuta a capirci qualcosa giuro che voto quello che mi dice lui. O forse faccio come mi pare. Che casino…

guernica

Il foglio bianco, la tela bianca

In principio anche la Bibbia era un foglio bianco. In verità vi dico che anche il Vangelo era un foglio bianco prima che quei quattro si prendessero la briga di scriverci sopra. Erano un foglio bianco Pinocchio, la Divina Commedia, il Nome della Rosa e il Vernacoliere. Il foglio bianco è come la legge: è uguale per tutti. E come la legge, ognuno lo interpreta un po’ come gli pare. Il foglio bianco è la massima rappresentazione delle pari opportunità, della giustizia, dell’equità.
Lo spazio bianco, che sia un foglio, una tela o uno schermo di un computer, è l’infinità delle opportunità di scelta. E’ un incrocio con infinite strade possibili da percorrere. Scegliere una strada piuttosto che un’altra conduce inesorabilmente a destinazioni diverse e disparate. E può essere un viaggio straordinario oppure un disastro totale. Erano una tela ugualmente bianca la Primavera di Botticelli, la Monna Lisa, quello spazio su cui Pollock faceva gocciolare i suoi pennelli e tutte le tele in cui Fontana decise di infilare un coltello per vedere cosa ci fosse dietro. Ogni risultato è figlio di una scelta e ogni scelta è un’espressione di libertà. Comunque.
Ogni volta che ci troviamo di fronte ad un’opera dobbiamo ragionare su questo e magari ci verrà più difficile dire, davanti ad un Picasso qualunque: “Questo potevo farlo anche io”.

L’immagine è “Guernica”, la tela realizzata da Pablo Picasso nel 1937 e conservata nel Museo Reina Sofia di Madrid. Anche questa un tempo fu una tela bianca.

Ritratto

L’ingrato compito del ritrattista di potenti

Passare un pomeriggio in un museo che contiene arte barocca o romantica apre la mente. Specialmente ti fa mettere in discussione la tanto decantata “bella vita” degli artisti. Mi sono immaginato di essere nella testa di uno di questi pittori disgraziati e mi è venuto fuori un flusso di pensieri che ora vi metto nero su bianco.

“Buongiorno. Che ore sono? Le otto e trenta? Del mattino? Sì prego si accomodi. A che ore sono andato a letto? Un’oretta fa. scarsa. Ma veniamo a noi… Come dice? Sua Maestà chiede un ritratto dell’Infanta? O mio Dio. (Segno della croce, all’epoca erano tutti smodatamente cattolici). Come? No, no, niente…Ma un’altra cosa, tipo che sò, un cesto di frutta alla Caravaggio, un paesaggio alla Tintoretto, una tauromachia…C’è gente che ci farà i soldi con la tauromachia..È solo che, vede…L’Infanta, detto tra noi è….(sottovoce)…bruttina. Nooooo….chi ha detto brutta? Ho detto “bruttina”. Nel senso che, vede, ha tre menti. Ha la testa che è due volte una testa normale e gli occhi…gli occhi sono quelli di….ha presente un’orata? Sì, ma pescata l’altroieri! I capelli sono come un gatto che ha preso un secchio d’acqua addosso e la pelle ê grigia…come un cadavere. Sono anni che dipingo ritratti di potenti, mi capisca, mi sarei scocciato di fare finta che tutti i nasi siano all’insú, che tutte le gote siano rosa, e che tutte le bocca siano quelle di un putto. L’Infanta è BRUTTA, mi aiuti a dirlo, BRUTTA! Come dice? Un giorno potrebbe sposare il Re di Francia? Quindi il Principe di Francia è cieco? Ah no, tra voi potenti funziona che conta l’interesse.
Ecco.
Bene.
No, no, non si può fare.
Mi faccia dipingere quella bella lavandaia che avete a corte. E a chi interessa? A me, perdiana! A me interessa la lavandaia! Come dice? State per assegnare gli affreschi di palazzo? E a chi li assegnate??? Non facciamo scherzi eh! Come? Chi c’è tra i papabili? Ma non scherziamo nemmeno!
Quanto lo vuole grande questo ritratto della babbui…della bambina? Ma guardi la avverto che la faccio così come la vedo, eh. Poi senza arrabbiarsi. Capito? Lo dica anche a Sua Maestà. Io rappresento la realtà per come la vedo e L’Infanta io la vedo BRUTTA! Chiaro?
Almeno l’abito possiamo averlo fatto a modino? Con un bel fiocco nel mezzo del petto. Rosso! Almeno la gente guarda quello e non guarda la faccia. E un animale da compagnia ce lo abbiamo? Un cane? Benissimo. Allora ci vediamo domattina. E mi raccomando, per quella cosa degli affreschi non facciamo scherzi. Arrivederci.
Dica! Come dice? Il cane sarà quello dell’Infanta? Ma no…è mostruoso anche quello! Almeno il cane…”

L’immagine è un dettaglio del ritratto di Maria Teresa d’Austria, Infanta di Spagna e di Portogallo, realizzato da Juan Baptista Martinez del Mazo.

dario fo

La rarità del talento umano

Il talento umano non è infinito. E’ inestimabile ma è assolutamente numerabile. Mi spiego meglio: se oggi al mondo le persone viventi sono circa sette miliardi, a mio avviso sarebbe possibile quantificare l’esatta quantità di talento disponibile oggi nel mondo. Con un ragionamento da Bustine di Minerva mi piacerebbe dividere il mondo in chi ha talento, se pure in minima parte e chi non ne ha affatto. Tra chi non ne ha affatto potremmo enumerare gli zotici, i copiaincollatori, gli ignavi. Tra gli altri potremmo cercare di categorizzare le varie tipologie di talento: il talento artistico, il talento politico, il talento manuale, il talento sportivo e aggiungete voi tutto ciò che vi passa per la testa.

Siccome gli esseri umani sono un numero finito, anche il loro talento è finito. Per questo, come per il petrolio, possiamo dire che il talento è una risorsa esauribile. Pensiamo ad un mondo fatto soltanto da zotici, copiaincollatori e ignavi. Sarebbe un mondo privo totalmente di talento.
Per questo, se consideriamo il talento alla stregua del petrolio, dell’oro o dei diamanti, possiamo dire con certezza che il talento umano è prezioso.

Questo lungo preambolo è per dire che quando scompare una persona piena di talento è come se bruciasse un pozzo di petrolio o crollasse una miniera di diamanti.

Quindi se muore Dario Fo, Albertazzi o Oriana Fallaci non son morti “Un voltagabbana”, “Un fascista” e “Una razzista”, sono morte tre casseforti del talento. E si può essere in disaccordo totale con un pensiero di Fo, con una dichiarazione di Albertazzi, o con uno scritto della Fallaci ma non si può riconoscerne il valore in termini di talento, di capacità di creare discussioni, di fare riflettere e di stimolare il mondo ad allontanarsi dagli zotici, dai copiaincollatori e dagli ignavi.

Per cui, secondo me, il talento ci protegge e ci difende dalla negazione del talento. E quando se ne va uno di questi beni preziosi, dovremmo evitare di seppellirlo con un’etichetta politica o di parte (che poco ha a che fare con la purezza del talento) e renderci conto che abbiamo perso un pozzo di petrolio e quindi che siamo un pochino meno ricchi di quanto lo eravamo ieri.

Da l’Orazione Funebre di Alberto Moravia a Pier Paolo Pasolini

“Abbiamo perso prima di tutto un poeta. E poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo.

(applausi).

Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta. Il poeta dovrebbe esser sacro.”

severus-snape

Apologia della Cattiveria

Dai, non fate finta di niente: tutti noi abbiamo avuto un compagno di classe cattivo. Il mio era cattivissimo. Aveva sei anni. Mi ricordo che si chiamava Emiliano ed è dal 1981 che non so che fine abbia fatto.
Non mi ricordo se l’etichetta gliela avesse appiccicata addosso la Maestra o qualche bidello. Emiliano, per tutta la scuola, era “il bambino birbo”.
Io ci avevo fatto amicizia e quando mia madre veniva a prendermi, lui saliva in macchina con noi. Lei mi diceva: “Guarda che non è mica cattivo Emiliano…”
In effetti all’epoca per me i cattivi erano i nemici di Goldrake e non mi sembrava che Emiliano avesse intenzione di distruggere il mondo. Per ora aveva distrutto solo la seggetta di un water della scuola e scritto col pennarello sulla porta.
Alla fine dell’anno Emiliano passò, ma cambiò scuola. A guardarla ora, credo che avesse tutte le ragioni per farlo. Non l’ho più rivisto. Non l’ho mai neppure incontrato ad una festa di compleanno o, crescendo, in qualche discoteca qui intorno. Ho anche provato a cercarlo su Facebook ma niente. Forse ha cambiato identità e connotati come Remo Williams. Il Supercattivo della Saffi è scomparso nel nulla come un vero villain dei fumetti. Come Ming alla fine di Flash Gordon.

Ho sempre avuto una passione innata per gli outsider, per i cattivi etichettati come tali ed ho sempre avuto paura dei sorrisi smaglianti e dei voltafaccia. Per questo credo che il personaggio più bello di Harry Potter sia il meraviglioso Professor Snape (Severus Piton per chi ama le traduzioni maccheroniche).

La cattiveria, quella del mondo reale e non quella dei fumetti e della letteratura, è sempre la conseguenza di qualcosa. La cattiveria, così come la bontà non esistono di per sé. Chissà se Severus avesse potuto sposare la mamma di Harry e non fosse rimasto vedovo di un amore mai corrisposto. Magari non sarebbe stato così astioso nei confronti della vita.

Chissà se i bambini delle favelas avessero potuto giocare coi playmobil invece che con le pistole che sparano davvero.

Chissà se affacciandosi da una finestra di Scampia si potesse vedere una strada pulita.
Chissà se un viaggio in gommone non fosse preceduto da angoscia e morte.
Chissà se da piccolo quell’assassino fosse stato trattato come un bambino.
Chissà. Forse tante “persone birbe” sarebbero meno incattivite.

E io spero che Emiliano abbia avuto una vita felice, senza portarsi dietro quell’etichetta.

Perché se pensano che tu sia una mela marcia, probabilmente lo penseranno per sempre.

“Always.”

tony manero

La febbre del sabato mattina

Vabbè, è ufficiale: sono vecchio.

C’ho provato a resistere, ho iniziato anche un altro album di figurine. Però non ho trovato nessun coetaneo che avesse i doppioni e l’ho lasciato a mezzo. Non c’è niente da fare, questi 40 anni si sentono. E più ti ostini a negarli e più si sentono. E specialmente nel fine settimana, capita di andare a dormire sentendosi John Travolta e svegliarsi come John Sconvolto.

Ho preso un Moment che mi si rinfaccia con un lieve bruciore allo stomaco, allora prendo un Maloox che mi rende la bocca amara e mangio un cucchiaio di miele che mi manda immediatamente al bagno. Non sono 40 anni, è una reazione a catena. Eppure avevo giurato che quando avrei avuto 40 anni non avrei fatto come tutti quei vecchi quarantenni che conosco. Quelli che il sabato stanno a casa e invitano altri quarantenni a giocare a Pictionary. Io non ci voglio giocare a Pictionary. Giocateci voi a Pictionary.

Ora lo sai che faccio? Vado su Ticketone è compro il primo concerto di Freddie Mercury che trovo. Ma perché Freddie Mercury non fa più concerti dal vivo, perdio! Mi fa male la testa. Ora mi sdraio e mi misuro la febbre. 37,9. Ah, ecco, non sono i quarant’anni, è la febbre. Grazie al cielo, pensavo di essere invecchiato. Mi alzo e mi faccio un brodo di dado. Poi lo butto via perché mi vergogno a mangiare il brodo di dado. In casa non ho niente ma ho la febbre gravissima e non posso uscire. Digiunerò. Impossibile. Devo farmi un teino. Quando sei malato il the diventa il “teino”, non ho mai capito perché. Giuro che il primo che mi invita a cena di venerdì e mi fa fare le tre e mezzo, lo denuncio. Non ce la faccio più, ho 40 anni suonati, cazzo! Lo dice anche la carta d’identità. Quasi quasi faccio finta di perderla.

Suona il telefono: “Sì? Come? Quando? Venerdì prossimo? Quanti siamo? Va bene!”
In fondo il Tony Manero che è in me non è ancora morto. Però c’ha la febbre.

mastro lindo

Il Genio del Marketing

C’è una nuova moda, che forse è sempre stata di moda: è quella ci pararsi il culo prendendo le distanze dalla comunicazione; specialmente in politica, specialmente in Italia. E provincia.

Come se la comunicazione fosse la mela del peccato dalla quale tenersi attentamente alla larga. Per me, che la vivo come un lavoro e come una passione, la comunicazione non è la mela del peccato. per me la comunicazione è una mela e basta. E’ colui che la maneggia che può decidere, più o meno volontariamente, di farla diventare la mela di Steve Jobs, quella dei Beatles, una bellissima torta appena sfornata, o la mela avvelenata della strega di Biancaneve. La comunicazione è come un coltello, puoi usarla per tagliare una fetta di pane o per tagliare una gola.

Questo non tutti lo hanno capito, ma tutti hanno capito che la comunicazione funziona e quindi, se si vuole arrivare da qualche parte, la si deve utilizzare.  Con l’accortezza, una volta arrivati a destinazione, di prenderne accuratamente le distanze.

Ieri ho sentito un Presidente del Consiglio di uno Stato dirimpettaio della Libia che diceva: “Questa legge non me l’hanno suggerita mica i geni del marketing…”; con quel disprezzo sottinteso riversato all’improvviso nei confronti di chi ti ha organizzato il Giro d’Italia in camper, settecento Leopolde, quattromila dimissioni e che “ADESSO” tratti come il tuo ex maglione preferito che usi per spolverare.
Oppure ho sentito quel saltimbanco tarantolato che ha fatto fortuna con un blog, che accusa i suoi avversari di sparare fango attraverso i social, su una giunta che non c’è. O anche quell’unno con le felpe geolocalizzate che si lamenta perché su facebook la gente condivide e commenta le sue sparate che sembrano delle gare di rutti.

Di persone che fanno comunicazione di mestiere ne conosco molte, alcune mi stanno molto simpatiche, altre meno, come penso che accada anche tra gli avvocati, tra i medici e tra i calciatori. Alcuni li reputo molto bravi e altri meno come penso che accada anche tra gli avvocati, tra i medici e tra i calciatori. Ma non ho mai pensato che qualcuno di loro fosse un “genio del marketing”. L’unico genio del marketing che conosco è Mastro Lindo: perché è effettivamente un genio e perché fa vendere vagonate di un prodotto come tanti altri da oltre 50 anni.

Perché dico questo? Perché noi che facciamo un lavoro che ancora è considerato un passatempo, spesso pagato poco e male, che si deve svolgere di fronte a clienti che pensano, comunque, di essere più titolati di noi a parlare. Ecco, non credo che uno che fa questo lavoro abbia l’ambizione di essere considerato un “genio”. Gli basterebbe essere considerato un professionista.

Vabbè, è troppo difficile da spiegare. Torno dentro la lampada, vai.