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Quando rubai due tergicristalli (e poi li riportai)

Lo confesso: anche io ho un passato da malvivente. Appena ottenuta la patente presi una mitica Panda 30 del 1981 che esalò il suo ultimo rantolo durante un pranzo di classe (non perché fossero presenti persone di un certo rango ma perché era un gruppetto di brufolosi compagni di scuola, tutti rigorosamente maschi) a Brolio.

Il concessionario, evidentemente pentito di avermi rifilato un rottame, mi propose allora una vecchissima Polo che nello scambio mi sembrò una Tesla.

Comprai, con i miei pochi risparmi, anche un’autoradio che mi fu rubata fuori dal Papillon dopo pochi giorni. Nelle settimane successive sparirono anche l’antenna (oramai inutile) e due copricerchioni. Evidentemente all’epoca Siena era già un territorio malfamato. Si sta parlando della prima metà degli anni ’90 quando Max Pezzali la faceva da padrone. Praticamente tutto come adesso, compresi i Democristiani al governo.

Un diciannovenne senza autoradio è come un diciannovenne senza la macchina ma, ahimé, i risparmi erano finiti e ancora non c’era l’ipod da attaccare alle casse dell’auto. Mi adattai ad alcuni mesi di walkman in macchina con le cuffie fino a che per questo non presi una multa che vidi bene di tenere nascosta ai miei a cui non avevo raccontato del furto dell’autoradio.

Quando arrivai a prendere la mia Polo e mi accorsi che i tergicristalli davanti erano spariti, non ci vidi più: tornai a casa, piansi per lo sconforto, presi il mio unico passamontagna giallo (regalo di una befana nell’Aquila di circa 10 anni prima) e mi trasformai in Lupin III. Cercai una Polo parcheggiata nella zona di San Prospero dotata di tergicristalli e, provocandomi alcune ferite alle mani, scappai con la refurtiva. Nel buio della Fontana, a due passi dal Campino dove avevo giocato per ben 37 secondi una memorabile partita della Nirvano Fossi (ma questa è un’altra storia), recuperai un po’ di fiato e di lucidità. Mi vidi passare davanti tutta la vita. Ed era una vita da carcerato. Mi pentii come Giuda e, non avendo una corda con la quale appendermi, decisi di riportare i due tergicristalli alla Polo a cui li avevo rubati. Sarebbe stato singolare essere arrestati nel momento in cui restituivo il mal tolto. Mi rimisi il passamontagna (se ci fosse una videocamera che mi ha ripreso gradirei avere la registrazione) e furtivamente passai due minuti cercando di rimettere il tergicristallo come l’avevo trovato. Fui illuminato da due fari: “Oh, no! Mi hanno beccato!”. Era un vecchietto che mi strizzò l’occhio pensando che quella Polo fosse la mia. Terrorizzato dagli anni di galera a cui andavo incontro, lasciai i tergicristalli appoggiati al parabrezza e fuggii nella notte.

Il giorno dopo pioveva. Da allora penso al momento in cui il proprietario dell’auto arriva con il suo ombrello a riprendere la macchina, accende il quadro e i due tergicristalli volano via come lacrime nella pioggia. Sai che bestemmie.

Non l’avevo mai raccontato a nessuno. Ora mi sento sollevato.

Il correttore di buzze

E’ inutile nascondersi dietro ad un dito (anche perché non saprei come entrarci): sono ingrassato. Ne ho avuto la prova ieri quando ho parcheggiato la macchina accanto a un suv e per uscire ho dovuto chiamare un’ostetrica.
Il fatto è che ingrassare è parecchio più divertente che dimagrire. E questo è un dato di fatto. Il vero problema è che la maggior parte delle cose divertenti sono più facili se non sei un lottatore di sumo. A meno che tu non voglia fare il lottatore di sumo. In quel caso il sumo è una della cose divertenti da fare nella vita.
Purtroppo il mondo non è esattamente pensato per chi ha problemi di eccesso adiposo che, soltanto a dirlo, sembra qualcosa di schifoso.
Ci vorrebbe qualcuno che ti corregge come avviene quando stai per pubblicare un libro: un “correttore di buzze” che ti evidenzi su un pdf le cose che non vanno e te, con un semplice “seleziona e cancella” potresti risolvere i tuoi problemi di fiatone, ansia, stress, depressione, fame atavica, ipersudorazione, apnee notturne, calo della libido e impossibilità di legarsi le scarpe senza riprendere fiato tra l’una e l’altra.
Purtroppo il correttore di buzze non esiste. Dopo una bella discesa c’è sempre una brutta salita. Tocca rimettersi a dieta. Comincio lunedì. Forse.

coubert

Odor di presidenza

La realtà è evidente: c’è una cosa che inizia per P e che piace un po’ a tutti.

Il Potere, si intende.

E non è per il denaro, è proprio per il Potere.
Non vi fate gabbare: il Potere piaceva anche a Gandhi, a Madre Teresa e a Papa Wojtyla. E loro non erano proprio degli assatanati di sesso, diciamocelo.

E’ che se una persona manifesta contemporaneamente la sua immensa smania di scaldare una poltrona e contemporaneamente la sua immensa smania di accoppiarsi con chicchessia, per noi persone medie del primo ventennio degli anni 2000 non va bene. E ci spingiamo oltre: la seconda cosa per noi è molto più deprecabile.

Badate bene, il prurito sessuale, se esternato singolarmente da chi non ha velleità di candidatura può farcii diventare delle star. Prendete Valentina Nappi, o Madonna, o Miley Cyrus. Ma se un candidato si mette a cavallo di una palla per demolire palazzi oppure fa un video in cui lecca un martello, spalancati cielo. Non si fa!!!

Non ci piace un Presidente che ha le stesse manie di Bill Cosby ma ci accontentiamo di gente che non ha la minima idea di come uscire dalla crisi, di come far quadrare i conti, di dare precedenza ai giovani invece che alle lobby.

Non lo so, sono combattuto. Mi ero illuso che con il cambio del marchio del Gruppo Fiat in FCA, in parte avremmo superato questo problema ma evidentemente non è così. Ci hanno stordito con una campagna elettorale fatta di insulti. Ci hanno fatto credere fino all’ultimo che il candidato meno incline al “basta respirino” fosse quello migliore e abbiamo anche perdonato quel debosciato di suo marito, che abbiamo guardato con disprezzo per un paio di decenni dopo che aveva fatto uscire il merlo dalla gabbia in maniera del tutto impropria.

Ci siamo autoconvinti che il problema di Silvio fossero i rapporti avuti con Ruby e non quelli con Mangano. Ci hanno fatte vedere il dito invece della luna e vi assicuro che era il dito medio.

Abbiamo imparato che quella cosa che piace a tutti, noi non ce la possiamo permettere e che è meglio dirci #staisereno, il tuo momento non è esattamente #adesso. Ci siamo rassegnati, c’è anche chi è sceso in piazza mandando tutti a quel paese e ancora quella cosa che piace a tutti non l’abbiamo nemmeno annusata.

Non è il nostro turno, evidentemente.

Però oggi, con tutto quello che è successo in America ci viene una domanda: “Va bene! Niente Potere, ma almeno un po’ di fica???”

Stanotte ho capito perché siamo infelici: perché ci hanno insegnato che comandare è meglio che fottere.

E a noi, poveri mortali senza potere e poco attivi sessualmente, non resta che sfogarci con le solite masturbazioni mentali.

“Comandare è meglio che fottere. Ma anche fottere ha il suo perché!” (D. Trump, libera interpretazione)

Ps. L’immagine è uno scatto dell’opera “L’Origine del Mondo” di Gustave Courbet

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Il mio professore di filosofia

Il mio professore di filosofia del liceo si chiamava (e si chiama ancora) Alessandro e all’epoca somigliava molto a Sir Alec Guinness quando faceva Obi Wan Kenobi. Somigliava anche a Sean Connery vestito da frate nel film tratto dal più celebre degli scritti di Umberto Eco. Aveva la barba bianca da saggio quotidianamente ravversata, gli occhi chiari, la schiena dritta e l’andatura elegante.

E’ vero, a sedici anni hai in testa una cosa che inizia per FI e finisce per A, ma non è esattamente la Filosofia.

Ciononostante Sandro riuscì nella missione impossibile di farmi innamorare della sua materia. La prima lezione me la ricordo ancora: entrò in classe e senza presentarsi, iniziò a parlare dalla Scuola di Mileto, di Talete, Anassimene e Anassimandro e lo fece senza prima imbastire il classico “giro di nomi per conoscersi” che tutti gli altri prof facevano. Alla fine delle due ore, per me Talete, Anassimene e Anassimandro avevano perfettamente ragione tutti e tre. Praticamente mi era stata data, dopo la prima lezione di filosofia, buona parte delle risposte che cercavo, tranne “dove si va sabato dopo cena?”.

La strana caratteristica delle sue lezioni era che ogni volta che si passava da un filosofo all’altro, l’ultimo di cui si era parlato diventava immancabilmente “quello che aveva tutte le ragioni del mondo”. Aveva ragione Aristotele, aveva ragione Platone, per non parlare di quanta ragione avesse Kant. Ragione pura.

Ma aveva ragione anche quello che diceva che “homo faber fortunae suae”, o quello di “homo homini lupus”.

L’ho incontrato di nuovo qualche mese fa Alessandro e non ricordandomi se gli davo del tu o del lei, ho optato per il lei. Siamo rimasti tre minuti a parlare dei nostri ultimi venti anni e una buona mezz’ora a dissertare sul perché il televideo sia praticamente defunto. Internet non deve essere entrato molto nelle sue corde.

Non gliel’ho mai detto ma gli voglio bene. Se sono così è anche merito o colpa sua.

All’epoca della scuola mi creava una forte soggezione ma, arrivato alla fine della quinta, trovai il coraggio di fargli la domanda da un miliardo: “Prof, ma insomma, qual è di tutti i filosofi quello che ha ragione davvero, secondo lei?”

Lui mi guardò da dietro i suoi occhialini da presbite con lo stesso sguardo con cui Guglielmo da Baskerville avrebbe guardato Adso da Melk, tacque per alcuni secondi e mi rispose senza sorridere affatto: “Tutti!”

Credo che quello fu il giorno in cui iniziai a bere.

 

Nell’immagine, Sir Alec Guinness interpreta Obi Wan Kenobi in “Guerre stellari” di George Lucas (1977)

guernica

Il foglio bianco, la tela bianca

In principio anche la Bibbia era un foglio bianco. In verità vi dico che anche il Vangelo era un foglio bianco prima che quei quattro si prendessero la briga di scriverci sopra. Erano un foglio bianco Pinocchio, la Divina Commedia, il Nome della Rosa e il Vernacoliere. Il foglio bianco è come la legge: è uguale per tutti. E come la legge, ognuno lo interpreta un po’ come gli pare. Il foglio bianco è la massima rappresentazione delle pari opportunità, della giustizia, dell’equità.
Lo spazio bianco, che sia un foglio, una tela o uno schermo di un computer, è l’infinità delle opportunità di scelta. E’ un incrocio con infinite strade possibili da percorrere. Scegliere una strada piuttosto che un’altra conduce inesorabilmente a destinazioni diverse e disparate. E può essere un viaggio straordinario oppure un disastro totale. Erano una tela ugualmente bianca la Primavera di Botticelli, la Monna Lisa, quello spazio su cui Pollock faceva gocciolare i suoi pennelli e tutte le tele in cui Fontana decise di infilare un coltello per vedere cosa ci fosse dietro. Ogni risultato è figlio di una scelta e ogni scelta è un’espressione di libertà. Comunque.
Ogni volta che ci troviamo di fronte ad un’opera dobbiamo ragionare su questo e magari ci verrà più difficile dire, davanti ad un Picasso qualunque: “Questo potevo farlo anche io”.

L’immagine è “Guernica”, la tela realizzata da Pablo Picasso nel 1937 e conservata nel Museo Reina Sofia di Madrid. Anche questa un tempo fu una tela bianca.

mastro lindo

Il Genio del Marketing

C’è una nuova moda, che forse è sempre stata di moda: è quella ci pararsi il culo prendendo le distanze dalla comunicazione; specialmente in politica, specialmente in Italia. E provincia.

Come se la comunicazione fosse la mela del peccato dalla quale tenersi attentamente alla larga. Per me, che la vivo come un lavoro e come una passione, la comunicazione non è la mela del peccato. per me la comunicazione è una mela e basta. E’ colui che la maneggia che può decidere, più o meno volontariamente, di farla diventare la mela di Steve Jobs, quella dei Beatles, una bellissima torta appena sfornata, o la mela avvelenata della strega di Biancaneve. La comunicazione è come un coltello, puoi usarla per tagliare una fetta di pane o per tagliare una gola.

Questo non tutti lo hanno capito, ma tutti hanno capito che la comunicazione funziona e quindi, se si vuole arrivare da qualche parte, la si deve utilizzare.  Con l’accortezza, una volta arrivati a destinazione, di prenderne accuratamente le distanze.

Ieri ho sentito un Presidente del Consiglio di uno Stato dirimpettaio della Libia che diceva: “Questa legge non me l’hanno suggerita mica i geni del marketing…”; con quel disprezzo sottinteso riversato all’improvviso nei confronti di chi ti ha organizzato il Giro d’Italia in camper, settecento Leopolde, quattromila dimissioni e che “ADESSO” tratti come il tuo ex maglione preferito che usi per spolverare.
Oppure ho sentito quel saltimbanco tarantolato che ha fatto fortuna con un blog, che accusa i suoi avversari di sparare fango attraverso i social, su una giunta che non c’è. O anche quell’unno con le felpe geolocalizzate che si lamenta perché su facebook la gente condivide e commenta le sue sparate che sembrano delle gare di rutti.

Di persone che fanno comunicazione di mestiere ne conosco molte, alcune mi stanno molto simpatiche, altre meno, come penso che accada anche tra gli avvocati, tra i medici e tra i calciatori. Alcuni li reputo molto bravi e altri meno come penso che accada anche tra gli avvocati, tra i medici e tra i calciatori. Ma non ho mai pensato che qualcuno di loro fosse un “genio del marketing”. L’unico genio del marketing che conosco è Mastro Lindo: perché è effettivamente un genio e perché fa vendere vagonate di un prodotto come tanti altri da oltre 50 anni.

Perché dico questo? Perché noi che facciamo un lavoro che ancora è considerato un passatempo, spesso pagato poco e male, che si deve svolgere di fronte a clienti che pensano, comunque, di essere più titolati di noi a parlare. Ecco, non credo che uno che fa questo lavoro abbia l’ambizione di essere considerato un “genio”. Gli basterebbe essere considerato un professionista.

Vabbè, è troppo difficile da spiegare. Torno dentro la lampada, vai.

guardaroba

Non ho niente da mettermi

Convivere con qualcuno è estremamente difficile, specialmente se quel qualcuno è la tua compagna. La conquista di uno spazio vitale all’interno di cassettiere e armadi è per me ormai perduta. Avevamo iniziato come due persone moderate di sinistra dove maschio e femmina hanno medesimi diritti e medesimi doveri. Per cui tre cassetti a me e tre a lei. L’armadio diviso anche quello 50 e 50. Ok così, avanti tutta per i primi tre giorni. Fino a quando un paio di magliette sportive non sono finite nel mio cassetto. Da quel momento è iniziata una partita di Risiko dove lei credo abbia pescato come obiettivo: “Annienta il guardaroba di Giampy”. Sono stato attaccato da 6.000 carrarmatini e quando ho buttato i dadi ho fatto due. Per cui nel giro di pochi anni ho dovuto abdicare dalla piccola cabina armadio ricavata in uno sgabuzzino, ho consegnato due dei miei tre cassetti e, fino a che non mi sono inginocchiato davanti all’Ikea supplicando di darmi dei pezzi di un armadio per me, ho dovuto parcheggiare magliette e camicie sul divano. Armadio Ikea montato, anche se storto, e problema risolto, se non fosse che per fare spazio ai suoi vestiti, nel mio armadio sono entrate: lenzuola, coprilenzuola, federe, cuscini di riserva, salviette, teli da mare, aspirapolvere, scope, cassette dei medicinali, cassette degli attrezzi e il trapano (che tanto è l’armadio di un uomo).
Stamani, mentre mi stavo legando le scarpe, lei entra, mi guarda come se fossi quello che ha buttato giù le Torri Gemelle e mi dice: “Non so se hai visto che non ho niente da mettermi!”.

Mi sono rassegnato all’evidenza che i suoi abiti si dividono in:

  • Quelli preferiti
  • Quelli comprati in un attimo di acquisto compulsivo
  • Quelli che hanno ancora il cartellino
  • Quelli che può prestare
  • Quelli che non deve prestare
  • Quelli quelli che non metterà mai
  • Quelli che si mette se ingrassa di 12 grammi
  • Quelli che si metta il 29 febbraio quando cade di sabato
  • Quelli che lascerà ai suoi nipoti
  • Quelli che prevede di mettersi prima o poi
  • Quelli dalle 8.00 alle 14.00
  • Quelli dalle 14.01 alle 19.59
  • Quelli dopo le 20.00
  • Quelli per casa
  • Quelli per campagna
  • Quelli per la montagna
  • Quelli per il Deserto dei Tartari.

E tutti questi sottoinsiemi rientrano in un grande insieme che sono. “Quelli che non mi bastano”.

I miei 15 straccetti si dividono, invece in:

  • Quelli che mi entrano
  • Quelli che mi entravano

Spero stasera di ritrovarli ancora al loro posto, se mai ci sia ancora un posto.

cicogna

25 titoli gratuiti (su richiesta del Ministro)

Diciamoci la verità, fare la pubblicità è un hobby come un altro. Mica vorrete pagarci per divertirci. Per questo ho deciso di regalare al Ministro della Salute 25 titoli alternativi (rigorosamente gratis) per una nuova campagna del #fertilityday. Propongo anche di segmentare il target per aumentare l’efficacia di questa importante campagna di sensibilizzazione. Nell’attesa di trovare un Ministro bravo, che faccia il suo lavoro bene e magari a titolo gratuito.

Titolo gratuito 1. “Più figli, meno pausa.” (sarebbe pertinente per chi si è dimenticato di rimettere l’orologio biologico)
Titolo gratuito 2. “Spread your legs” (sarebbe sessista e inutilmente anglofono ma piacerebbe a Mario Monti)
Titolo gratuito 3. “Io sono tuo padre!” (perfetto. Soprattutto se sei un fan di Guerre Stellari)
Titolo gratuito 4. “Basta un sì” (per quelli che la chiedono sempre senza successo. E per chi segue le indicazioni del Governo in materia referendaria)
Titolo gratuito 5. “L’ovulo di Pasqua” (per quelli che si accoppiano solo per le feste comandate)
Titolo gratuito 6. “Vengo anch’io!” (per i fans di Jannacci)
Titolo gratuito 7. “Riproduzione fedele” (per coinvolgere la nicchia dei venditori di film piratati. Ma solo quelli che portano rispetto al partner)
Titolo gratuito 8. “Vergine? No, gemelli!” (per gli amanti dell’oroscopo)
Titolo gratuito 9. “Cambia verso” (per quelli che non hanno ancora capito che con l’anal non si concepisce)
Titolo gratuito 10. “Mona lisa” (per signore venete che l’hanno usata troppo)
Titolo gratuito 11. “Il seme della Concordia” (questo no. A meno che tu non sia Schettino)
Titolo gratuito 12. “Ovulo sodo” (per gli appassionati dei film di Virzì e per i duri di comprendonio)
Titolo gratuito 13. “Un due tre…sperma!” (per coloro che adorano i giochi della nostra infanzia)
Titolo gratuito 14. “Le gocciole” (per i golosi di biscotti)
Titolo gratuito 15. “Mamma Maria” (per quelle che pensano di poter concepire restando immacolate e ascoltano i Ricchi e Poveri)
Titolo gratuito 16. “Ben venuti” (per persone educate e uomini zerbino)
Titolo gratuito 17. “Dai, pe’ du’ gocce…” (per chi non usa il preservativo e nemmeno l’ombrello)
Titolo gratuito 18. “E’ tardi! E’ tardi!” (per donne over 45 e per il Bianconiglio)
Titolo gratuito 19. “La principessa sul pisello” (per una gravidanza da favola)
Titolo gratuito 20. “Ho fatto sega” (per donatori di seme che marinavano la scuola)
Titolo gratuito 21. “La volta buona” (per gli ottimisti all’ennesimo tentativo)
Titolo gratuito 22. “Inconcepibile!” (per i pessimisti)
Titolo gratuito 23. “Ma Ratzinger come sta?” (per chi lo fa ogni morte di Papa)
Titolo gratuito 24. “Uccello del malaugurio” (per chi pensa che riprodursi abbia delle conseguenze nefaste)
Titolo gratuito 25. “Sono cazzi miei” (per persuadere chi è ancora convinto che i figli ognuno possa decidere di farli se e quando gli pare)

Scusate le volgarità eventuali.

L’immagine è un fotogramma del cortometraggio Pixar “Partly cloudy”

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#Fertilityday: un suicidio assistito (con visto si stampi)

Ragazzi abbiamo fatto un passo in avanti: il Ministero della Salute ha sdoganato in Italia il suicidio assistito. Il suo.

Da pubblicitario di provincia evito sempre di fare sparate contro chi fa il mio mestiere. Anche perché conosco bene i miei polli e so con certezza che molte delle ciofeche che escono fuori sono il risultato di un processo che parte dalle migliori intenzioni di una stanza di creativi per arrivare a spiaccicarsi contro il muro delle virate a gomito del cliente. Non che ci sia qualcosa di difendibile nella prima e nella seconda uscita della campagna del Fertility Day. E’ come se il cliente si fosse fatto esplodere con una cintura di tritolo e, incredibilmente sopravvissuto, avesse chiesto all’agenzia: “ora per favore, mi metti anche una bomba a mano nel culo, ok?”

Il problema non è il brief che evidentemente parte da delle basi razziste, superficiali e brutte a livello concettuale nel dividere il bene e il male, nel contrappore gli eiaculatori feritili e le ovulatrici sterili, i bianchi caucasici trovati su Shuttertock ai negri che si fumano l’hashish con delle groupie invece che con le ragazze del Coyote Ugly, le foto stinte a quelle seppiate, il mare d’inverno alle sere a casa di Luca.

Il problema non è il copy che mette “compagni” tra virgolette per strizzare l’occhio a tutti quelli che odiano i kommunisti. O il grafico che usa le ombre come farebbe Ray Charles. O quella frattura tra il bene e il male che ricorda con un tempismo invidiabile il grafico tellurico di Amatrice.

Il problema è il “visto si stampi”. Perché, forse tutti non lo sanno, ma ogni agenzia, anche quelle più scrause, ormai si fa dare un ok dal cliente prima di uscire con una campagna. E’ come dire, caro Ministro, io ti avevo proposto una attività di storytelling che avrebbe fatto piangere mezza Italia, ti avevo detto di fare le foto con modelli che non fossero quelli di Baywatch, ti avevo detto di testare la campagna, ti avevo detto che mi è morto l’art director, ti avevo detto che così facciamo la fine di Thelma e Louise ma se mi dai l’ok (e se mi paghi la fattura tra 180 giorni), io vado. Hai capito? Vado.

Ok!

E ora sono cazzi!

 

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La comunicazione ha sempre degli effetti, come le medicine. A volte sono effetti blandi, altri dei palliativi, a volte sono molto positivi e a volte letali.

Se il Ministero della Salute, invece, avesse trattato i pubblicitari come se fossero dei medici che hanno la competenza e l’autorevolezza per prescrivere una terapia, la situazione, magari, sarebbe stata la seguente:

Account: “Signor Ministro, dalle analisi che vedo posso riscontrare che lei ha due linee di Bisogno di sparare baggianate. Le assicuro che la sua non è una malattia rara e che in questi casi trattiamo il paziente con una terapia molto efficace ma deve andare da uno bravo, uno specialista. Non si può affidare al primo che capita perché è il cugino del suo sottosegretario.”

Ministro: “Dottor Account, mi fido ciecamente delle sue prescrizioni e domani fisso un appuntamento.”
Account: “Tra l’altro non c’è neanche da passare dal Cup. Ci vediamo in agenzia dove troverà il nostro personale altamente qualificato che starà con lei per tutto il tempo della campagna.”

Ministro: “Posso fare delle correzioni?”

Account: “Forse non ci siamo capiti. Lei sta tirando il calzino. Se vuole andare avanti così faccia pure”

Ministro: “No no, facciamo come dite voi.”

Account: “Ok?”

Ministro: “Ok!”

 

Account ai creativi: “Ragazzi, c’è da fare nottata, questo è un caso disperato! Lo stiamo perdendo, lo stiamo perdendo…”

botero

15 scuse e falsi luoghi comuni sull’essere grassi

Convivo con un grasso da 41 anni e da lui ho capito che chi è molto sovrappeso tende a nascondersi (che tanto poi sei grasso e ti si sgama), dietro a scuse e falsità. Non ce ne vogliate, non è colpa nostra, siamo così di costituzione.

I grassi sono più simpatici – vero in parte. Enrico VIII ha fatto fuori tre mogli e anche Barbablù non era proprio un’acciuga.

Grasso è bello – Provate a fare un anno da Mac Donald’s e poi andate a chiederla a Belen, vediamo che cosa vi risponde.

Quel che non ammazza ingrassa – falso! A volte ingrassa anche ciò che ammazza, avete presente la Nutella, la Coca Cola e la cugina di Avetrana?

Non è tutto grasso che cola – falso. Pensate ad un pomeriggio d’estate, a pieno sole e voi che con i vostri 100 e passa chili, risalite come un salmone una bella stradina in salita, magari con una borsa della spesa in una mano e il guinzaglio del vostro labrador nell’altra. Poi ne riparliamo.

Ho le ossa grosse – Magari avete ragione, però non credo di aver mai visto in nessun museo scientifico scheletri con costole che pesavano tre chili l’una. Quella delle ossa, diciamocelo, è una scusa.

Sono così di costituzione – Vabbè, ne riparliamo dopo il referendum.

Per dimagrire bisogna bere tanto – Falsissimo. Ne ho le prove! Io bevo tantissimo!

Sono grasso perché ho appena smesso di fumare – Il problema è che questa è una scusa che accampa anche chi ha buttato via l’ultima sigaretta anche dieci anni fa. Non regge.

In famiglia siamo tutti grassi – Falso (a meno che tu non ti chiami Grassi di cognome). Ho visto bambini obesi con genitori che facevano la maratona di New York e ragazze magrissime figlie di madri che sembravano balenottere azzurre. Pensate alla famiglia Addams: Gomez e Morticia hanno due figli ma solo uno è ciccione. Ed è quello che mangia.

Eppure non mangio mica tanto – falsità clamorosa. Ti ho visto fare colazione con due bomboloni e mezzo litro di cioccolata calda, su…

Sono grasso perché sto attraversando un periodo di merda – scusa. Tutti i poveri disgraziati usciti dai campi di concentramento non è che avessero avuto un bel periodo…

Porco grasso non è mai contento (proverbio veneto) – non è vero. Portatelo a cena e gli vedrete brillare gli occhi.

Non si diventa grassi da Natale a Capodanno ma da Capodanno a Natale – vero ma in parte. Nei giorni che vanno da Santo Stefano a San Silvestro il grasso, che di solito preferisce il mangiare al digiuno, combatte con il proprio frigo nel tentativo di svuotarlo completamente da qualsiasi avanzo. Produce polpette mescolando carne bollita e pandori, panforti e pollo in galantina. Poi, dopo Capodanno, promette a se stesso diete che procrastinerà fino alla vigilia del Natale successivo. Ad libitum.

Non sono grasso, sono basso – di solito è una scusa, a meno che tu non sia il Pinguino di Batman o uno dei sette nani. In quel caso sei ANCHE basso.

Non sono grasso, ho preso una taglia sotto – falso. Un grasso prende sempre due taglie sopra, fino a che le trova. I vestiti elasticizzati e gli indumenti a righe (soprattutto orizzontali) sono i veri nemici dei grassi. E’ preferibile indossare un capo d’abbigliamento nero perché, dicono, il nero sfina. Evitare come la peste, per questo stesso motivo, i profilattici neri. A meno che tu non sia Rocco Siffredi.

Un grasso non è mai felice – falsissimo. Una volta ho conosciuto un napoletano che si chiamava Felice e sarà stato 150 chili!

Immagine di testata: Fernando Botero, Monna Lisa (1963)