montura

Pensieri di una montura

Sono una montura. Una vecchia montura sudata. Mi hanno indossata, cincischiata, stropicciata. Sono dall’Aquila da più di quarant’anni e ne ho viste di tutti i colori, anche se io resterò per sempre gialla, con qualche bordatura di celeste per ricordarmi di sorridere e un tocco di nero per non dimenticarmi che la vita di una montura è fatta per vestire parallelamente gioie e dolori. Ho visto matrimoni, comunioni e funerali. Ho visto andarsene grandi contradaioli. Alcuni di loro mi avevano anche indossato; se faccio attenzione riesco ancora a sentire il loro odore sommato all’odore di tutti quelli a cui sono stata addosso. Perché una montura non ha bisogno di essere lavata, va lasciata prendere aria; l’aria delle stanze della nostra Contrada. Se venissi lavata il damasco diventerebbe opaco, la trama dei velluti perderebbe il verso, i polsini e il colletto si ingiallirebbero mentre devono restare candidi come il sentimento di chi, fin da bambino si allena per entrare dentro di me. Sono una taglia forte, anche se ultimamente mi hanno un pochino riaggiustato e ristretto. Non si sa mai quale sia la taglia giusta, dopo tutto. Mi è capitato di girare, e porto ancora il segno della cintola da tamburino. Mi hanno adoprato per entrare in Piazza e per andare a prendere il cavallo. Era un Palio di agosto e, sebbene fosse piovuto la mattina, era molto caldo e i cavalli li dettero poco prima di cena. Il cavallo che ci toccò non era quello che si sperava e il ragazzo dentro di me si asciugava le lacrime al mio velluto. Dal naso colava un po’ di moccolo e anche dalla bocca usciva qualche moccolo.
La vita di una montura è strana. Ascolti da parte di chi ti porta bestemmie e preghiere, offese e parole di incitamento; sei costretta a sentirti perennemente inadeguata al tuo ruolo. Sei fatta di tessuto pesante eppure ti tirano fuori soprattutto d’estate, sei disegnata su modelli del quattrocento eppure ti senti sempre al passo coi tempi, sei stretta, puzzolente e incartapecorita ma chi ti porta si sente un Dio.
Non lo saprei dire quale sia la ragione ma se ci penso, credo che solo chi si è messo una montura possa capire cosa significhi mettersi una montura.
Sogno il momento in cui apriranno l’armadio nel quale mi trovo e qualcuno mi vestirà dicendo che quel giorno si gira a vittoria dalla mattina alla sera. Spero che questo avvenga presto, prima che arrivino le monture nuove, perché quelle come me sono ormai da buttare. Una cosa, però, mi rincuora: pare che una montura, solo per il fatto di esserci stata, acquisti di diritto un posto nella storia della sua Contrada. Una montura non si butta mai via, perché non passa mai di moda. Almeno cosí mi hanno detto le monture più vecchie di me. Quelle che si lasciano ammirare dalle teche del museo e che tutti osservano con ammirazione e alle quali un giorno, spero molto in là, andrò a fare compagnia.

Scritto per Il Lampione di Costalarga, giornalino della Nobile Contrada dell’Aquila

siena

Fine pena mai

Con questa Torre che pare un’erezione.
Che esce tormentata dopo ogni elezione.
Con quei mattoni a lisca di pesce.
Che chi ci casca dentro, dopo non ne esce.

Con quei merli guelfi che ricordano sconfitte.
Vorrei stare qui. Anche sulle palafitte.
Coi tuoi cittadini che dicon di sapere
le verità più false e le falsità più vere.

Siena ti amo ancora, nonostante tutto.
Anche se da un po’ sembri vestita a lutto.
Non ti posso lasciare, sei una maledizione.
Sei la mia libertà. E sei la mia prigione.

 

Testo e foto: Giampiero Cito

instagram.com/giampierocito/

chiccheri

Dei Chiccheri e dei Gazzillori

Ogni Contrada li chiama a modo suo ma ognuna deve farci i conti: sono i Chiccheri e i Gazzillori.

Il Chicchero è il Jolly che ti esce dal mazzo all’improvviso, perlopiú nei giorni del Palio. Qualcuno si palesa prima, alcuni esattamente il giorno della Corsa. Come i jolly delle carte, ci sono Chiccheri buoni e Chiccheri cattivi. Quelli che se li peschi magari hai 40 per buttare giú le carte e quelli che se ti rimangono in mano ti tocca anche pagare 16. I primi sono quelli che capiscono di essere Chiccheri e si mettono a disposizione anche piú dei Supercontradaioloni (di loro parleró un’altra volta). Un Chicchero buono è per sempre, come un diamante. Quelli cattivi invece, ignari della propria condizione di Chiccheraggine, ma comunque parzialmente consapevoli di essere arrivati con l’ultima intasatura dei tombini, scelgono ammennicoli o gadget che dimostrino in maniera conclamata che ci sono anche loro. Per cui fanno incetta di magliette, cappellini, hanno il fazzoletto ultimo modello, hanno l’anello al dito e a volte l’orecchino al naso. L’unico modo per combattere i Chiccheri è “la rospata”. Dicesi rospata, la repentina modifica del tono della tua voce con la quale fai presente al Chicchero che quello che stava facendo non corrisponde ai canoni contradaioli per come te li hanno insegnati da piccino. La rospata aumenta la propria efficacia se accompagnata da moccolo e/o da manata rumorosa sul bancone del bar sul quale il suddetto ha appena rigettato la cena.

Vi sono poi i Gazzillori. Il gazzilloro è un coleottero dal colore verdognolo che ti ritrovi nella case di campagna quando la temperatura esterna è minore di quella interna. Per cui te lo puoi trovare in casa in ogni mese dell’anno. E il problema è che sono animali mimetici. Sono quelli che partono all’attacco senza alcuna forma di rispetto nei tuoi confronti. Quelli che ti criticano se una cena costa sette euro invece di cinque, quelli che se dici di trovarti in un punto dopo la prova si fermano a vedere due contrade che se le danno, quelli che ti spiegano cosa stava pensando il mossiere durante la mossa non valida, quelli che si lanciano in una cazzottata non loro solo perchè “mi trovavo lí”, quelli che se gli fai notare una cosa ti dicono: “Stai zitto, Puro!”. Il Gazzilloro è un mutaforma. Potrebbe essere anche uno dei tuoi migliori amici che a un certo punto impazzisce e fa “la Gazzillorata”. Per difendersi dalle gazzillorate non esiste la rospata. Il contradaidolo che assume la forma di gazzilloro, nel momento della gazzillorata è inconsapevole, va risvegliato. Spesso basta un “Ohhhh!”, detto a crescere fino a che il colore della tua faccia non assume il colore di un San Marzano con strabuzzamento degli occhi e rigonfiamento delle vene del collo. Se la cosa non riesce, non si tratta di “Semplice Gazzillorata commessa da contradaiolo”, la cui terapia è “parte a culo con scuse e successiva bevuta”, in quel caso si tratta proprio di Gazzilloro che, essendo una bachera di campagna, va preso a scarpate.

carota

Silvano, il leader vegano

Mi chiamo Silvano e sono vegano. Ma badate bene, non perché amo gli animali; no, non è per quello che sono vegano. Sono vegano perché il mio sogno è sterminare le piante. Così le mangio, e da quante ne mangio sono diventato anche bulimico. Sono vegano e bulimico. Perché odio le piante? Semplice: perché mi rubano il lavoro! Vedrai, io vendo ombrelloni! Pensa a quanti ombrelloni potrei vendere se non ci fosse nemmeno un albero. E poi le piante non fanno niente tutto il giorno e ci costano. Lo sapete quanto costa una pianta allo Stato senza fare niente? Non lo so, ma sicuramente ci costa un monte. Per me le piante andrebbero sterminate, o perlomeno che stiano a casa loro. Ci sono già i boschi; che ci fanno le piante in città? Vengono a rubarci il lavoro! Stiano nei boschi e ci lascino in pace qui; con gli ombrelloni.

Ho anche fondato un movimento contro le piante: il MUP (Mangiatevi Una Pianta). Se ognuno di noi mangiasse anche un solo albero al giorno, considerato che siamo 7 miliardi, in due anni sarebbero risolti tutti i problemi. Prima gli alberi, poi passiamo ai cespugli, che tanto quelli non fanno ombra. Però, siccome le piante vanno educate da piccole, si mangiano anche i cespugli, almeno imparano. Quando vedo le erbacce che crescono sulle mura io le strappo e le metto in un sacco, poi quando arrivo a casa le mangio scondite, anche se non c’hanno i capperi. L’altro giorno trovai un Assessore che mi disse: “Bravo, lei è un grande cittadino che libera le mura dalle piante”. “Sì, ma quando ho finito qui, poi passo al Parco. Vedrai che piazzale dopo.”

Ma ultimamente mi sono accorto che da soli è dura, anche perché si rischia di sbagliare. Un paio di settimane fa per sbaglio mi misi a leccare la muffa dal box doccia della palestra. Uno che era con me mi chiese cosa stavo facendo e gli spiegai la mia filosofia. Lui mi fece notare che le muffe non sono piante ma “funghi pluricellulari, capaci di ricoprire alcune superfici sotto forma di spugnosi miceli” e poi chiamò il 118. Mi fecero un TSO. Sono stato tre giorni alla neuro e m’è toccato mangiare tre fettine di roast beef per farmi dimettere; così, per depistarli. Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Mi hanno assegnato ai lavori socialmente utili: devo fare 40 ore all’all’Orto Botanico, ahahahahahaha! Vedrai quello che ci rimane…

Andiamo; le piante vanno sterminate! Spero proprio che alleghino a Il Giornale il libro: “Più seghe per tutti”. Quando tutti ce l’avremo in mano basterà dire: “l’ora della sega è giunta!”. Non ci saranno più Boschi, e nemmeno Renzi.

Lo so, il mondo non è ancora pronto per la nostra rivoluzione;ci prendono in giro, polemizzano, fanno satira. Ma vedrete che un giorno non si muoverà più neanche una foglia. Gli allergici al polline respireranno bene 12 mesi su 12. Gli intolleranti al grano riscopriranno la tolleranza. Quando due fidanzati si lasceranno non si diranno più: “ti ho piantato” ma ” ti ho sbarbato dalla mia vita”.

E una volta che il pianeta sarà ormai desertificato, taglieremo i pollici a quelli che hanno il pollice verde; obbligheremo gli animali carnivori a mangiare verdure, anche se non ci saranno più verdure da mangiare; invaderemo l’Amazonia ed esporteremo la foresta pluviale creando una catena di fast food e la gente farà la fila davanti “a McZonia”. E quando anche quella sarà senza un filo d’erba. ci butteremo nella fossa delle Marianne e attaccheremo le alghe, che sono piante pure quelle, anche se si nascondono bene. E quando anche le alghe saranno esaurite, ognuno mangerà le proprie piante dei piedi. E nessuno avrà più bisogno di muoversi. E rimarremo a casa. Immobili. Come piante.

 

L’immagine è un annuncio realizzato dall’agenzia tedesca KNSK Werbeagentur per l’azienda produttrice di coltelli WMF.

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Concittadini: piccolo vademecum per capire come ragionano (qualunque sia la tua città)

Navigando tra i post dei tuoi concittadini è possibile definire alcuni atteggiamenti ricorrenti che possono essere categorizzati come personaggi di una commedia. Vediamo se manca qualcuno…

Il Polemico dice NO a quasi tutto.
L’Accomodante dice SI a quasi tutto.
Il Critico dice NO ad alcune cose. Quelle che non vanno.
L’Autorevole dice di SI ad alcune cose. Quelle giuste.
Il Cacacazzo è un Critico che ripete la stessa cosa più volte.
L’Autoritario dice NO alle idee degli altri e SI alle sue.
L’Ipocrita dice SI ma pensa NO.
Il Bastiancontrario dice NO anche se pensa SI.
L’Opportunista dice SI o NO, in ordine sparso; basta che gli convenga.
Il Lecchino dice SI, se quelli che contano dicono sì. E viceversa.
Il Pettiere dice il contrario di quello che dicono quelli che contano.
Il Succhiaruote dice quello che dice la maggioranza.
L’Incontentabile è sempre con la minoranza. E spesso lo fa pesare.
Lo Stronzo dice SI o NO, con una regola precisa: basta che sia sempre l’opposto di quello che pensi te.

L’immagine si intitola “Boarderliners” ed è opera di Jee Hwang. Andate a vedere altri suoi capolavori qui.