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Il primo che ti commenta su Facebook

 

Scrivere su Facebook sta diventando demodé, ve ne siete accorti anche voi? Anche quelli che, come me, scrivevano e postavano ennemila volte al giorno si stanno rassegnando all’evidenza che Marchino lo Zucherberg non voleva vedere il nostro gatto; voleva venderci al migliore offerente. E noi ci siamo fatti vendere la vita senza guadagnarci un penny. Vabbè, ormai è andata.

Però ci siamo un po’ annoiati, specialmente da quando Marchino ci ha privato di quella spruzzata quotidiana di Autostima n°5, il pieno di “mi piace”, con la quale andavamo a letto felici, anche se nudi.

I like sono sempre meno, i soldi neanche a parlarne e anche le stagioni non sono più mezze con una volta. Ma questo potrebbe anche passare; quello che non possiamo più ingollare è il Signor “Il primo che ti commenta su Facebook”. Ognuno di noi ha il suo personale, che spesso è sempre il solito. Il caro Umberto Eco diceva che quando scriviamo lo facciamo per farci leggere da un “lettore  modello”, che però purtroppo, combacia raramente con il lettore reale. Scrivo un post che secondo me spacca e mi immagino già il like con commento di quella che avevo salutato ieri in piscina e invece arriva il commento inopportuno e fuori luogo di quello del negozio di scarpe. Che tra l‘altro, da lui le scarpe non ce le compro neanche. Oppure metto una foto di un viaggio e “Il primo che ti commenta su Facebook” è quello che mi fa notare che l’anno scorso ero 10 kg meno. O che lui c’era già stato e ha speso la metà. O che prosegue a dritto la polemica iniziata nel post precedente.

“Il primo che ti commenta su Facebook” va ignorato: un vostro mi piace al suo commento, dato più per educazione che per altro, può portarvi in dote altri 10 commenti inopportuni a post futuri. Non lo fate!

Perché il Signor “il primo che ti commenta su Facebook” non vi segue, vi pedina.

E, come spesso accade nella vita, non è mai quello che avevi desiderato ti pedinasse.

sanremo

Il Nazional Populista anti Sanremo

Il disagio degli ultimi giorni mi ha portato a scrivere questo post in cui riuscirò difficilmente a celare la mia vergogna nel dover ammettere che a me Sanremo mi garba. Vi dirò di più, ieri non l’ho potuto guardare e l’ho registrato. Mi duole ammetterlo così pubblicamente perché, nella fame di like e di consenso social che ci pervade, è spuntato un altro mostro che va ad arricchire la carrellata dei miei Monsters & Co: il Nazional Populista Antisanremese.

Si palesa preferibilmente su Facebook ed ha un’età variabile tra i trenta e i cinquanta; gli under trenta che non guardano Sanremo perché gli fa schifo davvero, di solito evitano di sbandierarlo. Spesso il nostro eroe manifesta il suo dissenso nei confronti del Festival dei Fiori condividendo video di gruppi rock di nicchia che in pochi conoscono ma che mai si sognerebbero di pestare lo stesso palco di Carlo Conti. E men che meno di Maria di Amici.

Il Nazional Populista anti Sanremo ha un paio di obiettivi grossi: Gigi D’Alessio e Al Bano. Sono quelli contro cui sparare sperando di ottenere in cambio il maggior numero di like, commenti, condivisioni. La combinazione di un post a stronco su Gigi D’Alessio + Giusy Ferreri moltiplica di 1,5 volte il numero di like.

Il soggetto in questione, per potersi inserire nel flusso dei tweet con l’hashtag #sanremo2017, mantiene un legame con l’evento lasciandosi un lembo di terra su cui poggiare i piedi: il/la cantante che ha fatto la gavetta (es. “Sanremo guardatelo voi, meno male che c’è Paola Turci”, “La Mannoia vale dieci Chiara!”). In questo modo si dimostra empiricamente di non essere inseriti nel gorgo dei talent (es. “Ma chi c***o è Sergio Sylvestre???”) e di avere guardato anche X Factor (che, alla stregua dell’aver votato Forza Italia o Pd, nessuno dice di averlo fatto mai).

Non vi fidate del Nazional Populista; l’intellettuale che la sera passa il tempo su Herman Hesse non posta contro San Remo. L’esperto di musica, se è un vero esperto di musica, sa bene che la musica è come la buona cucina: c’è quella dello chef stellato e c’è quella della nonna, e sono buone entrambe.

Il Nazional Populista ha bisogno di voi: aiutatelo. La prossima volta che lo incontrate per strada fategli una carezza e ditegli: “salutami i Jalisse”. Lui capirà che avete capito e si commuoverà, e allora, come due membri di una setta segreta, vi scambierete informazioni su Lola Ponce e Giò Di Tonno, su Tosca e su Aleandro Baldi.

Perché, alla fine dei Conti, Sanremo è Sanremo. Anche per lui.

 

 

superbowl

La prima volta che del Superbowl guardai il Superbowl

Stanotte ho commesso un errore clamoroso: ho fatto le 4 e mezzo a guardare il Superbowl. Il bello è che non volevo guardare il Superbowl, volevo guardare la pubblicità del Superbowl.Speravo di vivere in un mondo ormai globalizzato dove i grandi brand che spendono milioni e milioni per passare trenta secondi tra un tempo e l’altro, avessero visibilità anche sulle reti non americane, che poi sono americane pure loro. Ci ho sperato perché erano le due di notte, ma a ripensarci a mente fredda, che idiota sono stato.

Da quando faccio il pubblicitario aspetto il giorno dopo il Superbowl per vedere la cosa che per me vale cento touch down: gli spot che escono per la prima volta in occasione di questo grande evento. E invece chi c’era ad aspettarmi? Cruciani! Quello della Zanzara, sì quello che maltratta la gente insieme al mio amico Parenzo. Mi sono immaginato che mi guardasse in faccia e mi desse del cretino a tutto schermo e davanti a tutti gli altri spettatori. Mi sono incassato nel divano e ho atteso una serie di insulti che fortunatamente non è mai arrivata.

E mentre il tempo passava mi sono accorto che miliardi di persone stavano davanti a uno schermo con un’interesse completamente diverso dal mio: scoprire chi vinceva. Così mi sono appassionato, specialmente quando ho scoperto che il quarterback della squadra che stava perdendo malamente era un derelitto che condivideva la propria abitazione con Gisele Bunchen. E’ stato lì che ho provato compassione per uno che riesce nello sport con sacrificio e che si trova a dover passare le serate con un angelo di Victoria Secret. So’ drammi. Ho iniziato a tifare per lui. C’è stata una rimonta clamorosa e alla fine abbiamo vinto. E chi se ne frega se tra gli spot c’è stato anche quello del Papa e io non ho potuto vederlo; chi se ne frega se per me il football era un film di Bud Spencer o un pistolotto di Al Pacino che tutti i guru della comunicazione continuano a propinarci. Chi se ne frega! Abbiamo vinto, cazzo!!!

Sono andato a letto felice. Felice fino a quando dal letto non è salita una voce che mi ha ringhiato: “Ma vieni a letto a quest’ora?”
“Abbiamo vinto il Superbowl!!! C’era anche Lady Gaga!”
“Te non capisci proprio una sega!”
Le restanti due ore e mezzo prima della sveglia sono passate in un rigoroso silenzio.

La vita va vissuta ingoiando bocconi amari. Centimetro dopo centimetro.
Buonanotte.

PS. Se volete, gli spot del Superbowl 2017 li potete vedere qui: www.superbowlcommercials.co

happy family child baby girl in arms of his father

“Think dirty”: la regola dei malpensanti

Sono giorni grigi là fuori, giornate in cui i malpensanti si fregano le mani, salvo poi fregarsi con le proprie mani. Mi è venuta in mente una campagna che credo sia molto appropriata a questo momento in cui molti dovrebbero tornare all’asilo. E ripartire da lì.

Alcuni anni fa Hustler, la rivista erotica fondata da Larry Flynt per fare concorrenza al più noto magazine Playboy con immagini e articoli ancora più espliciti, lanciò una campagna geniale che mi fece molto riflettere e che fece il giro del mondo della comunicazione pubblicitaria.

Una multisoggetto, praticamente priva di qualsiasi intervento di grafica, con foto (nemmeno tanto belle) che raffiguravano normalissime situazioni di vita che, se guardate con l’occhio malizioso di chi conosceva il brand Hustler, potevano essere lette come situazioni ad alto contenuto erotico, o addirittura perverso. Il piccolo quadratino giallo in un angolo, che conteneva il titolo della campagna, diceva: “Hustler. Vedi il nome e pensi sporco.”

Geniale! Effettivamente anche io, guardando il pastore che trascinava la capretta o la ragazza che apriva la porta al ragazzo delle pizze, mi ero fatto in testa un film che avrei potuto pubblicare su Youporn. Provate però a stampare quelle foto e fatele vedere a un bambino, o a vostra nonna che, magari non sa che grazie ad Hustler gli oculisti di tutto il mondo hanno fatto i miliardi. Vedrete che vi diranno che si tratta semplicemente di una ragazza che sta ricevendo la pizza che aveva ordinato o di un pastore che fa il suo mestiere. Perché spesso la perversione risiede nel nostro modo di guardare le cose. E spesso, chi critica qualcosa bollandolo come “deviato” o “perverso”, è proprio lui l’albergo della devianza e della perversione.

“Pensare sporco” genera pensieri spazzatura. Teniamolo bene a mente nella vita di ogni giorno. Specialmente quando si parla di bambini, che sono quanto di più lontano ci possa essere dalla malizia e dalla morbosità.

Amen.

Ps. Ecco qui sotto i vari soggetti della campagna di Hustler

 

hustler

hustler

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L’immagine della testata è stata acquistata dall’archivio Getty Images.

piccioni

Il gusto di tirare la merda

Breve post rivolto a blogger locali dal giudizio più veloce del west e commentatori seriali compulsivi che rischiano di pestarla.

Aneddoto:

Una volta, mentre stavo viaggiando in treno verso Milano, mi capitó di incontrare un presidio dei Cobas del Latte. Al passaggio del treno iniziarono a sparare letame di vacca con gli idranti. Un bambino chiese alla mamma perchè ci piovesse addosso fango. Qualcuno fece notare al piccolo che quello non era esattamente fango. Una ragazza vomitò, per aggiungere una ciliegina su quella doccia non prevista e in omaggio con il biglietto di una corsa che faceva già segnare un pesante ritardo sull’orario di arrivo previsto. Molti dei passeggeri che viaggiavano con me, quando si erano messi a sedere su quel Frecciarossa erano dalla parte dei Cobas, qualcuno lo dichiarò pubblicamente (e anche io riconoscevo le loro buone ragioni) ma il fatto di essere stati ricoperti di sterco mentre stavamo viaggiando per lavoro, seppur dentro un treno con i finestrini chiusi, ci fece domandare che senso aveva tirare la merda a gente che non c’entrava niente con la loro sacrosanta protesta. Decidemmo che per protesta non avremmo bevuto piú latte. Io ho mantenuto la promessa per cinque anni. Nel frattempo mi sono dimenticato le  ragioni di quella protesta che ci concimò.

Morale:

anche se pensi di avere tutte le ragioni del mondo, tirare la merda senza guardare a chi la tiri, alla fine non conviene. Rischi di fare la fine del piccione e di finire in una tegamata. Perché il gusto di tirare la merda, alla fine ha sempre un gusto di merda.