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15 scuse e falsi luoghi comuni sull’essere grassi

Convivo con un grasso da 41 anni e da lui ho capito che chi è molto sovrappeso tende a nascondersi (che tanto poi sei grasso e ti si sgama), dietro a scuse e falsità. Non ce ne vogliate, non è colpa nostra, siamo così di costituzione.

I grassi sono più simpatici – vero in parte. Enrico VIII ha fatto fuori tre mogli e anche Barbablù non era proprio un’acciuga.

Grasso è bello – Provate a fare un anno da Mac Donald’s e poi andate a chiederla a Belen, vediamo che cosa vi risponde.

Quel che non ammazza ingrassa – falso! A volte ingrassa anche ciò che ammazza, avete presente la Nutella, la Coca Cola e la cugina di Avetrana?

Non è tutto grasso che cola – falso. Pensate ad un pomeriggio d’estate, a pieno sole e voi che con i vostri 100 e passa chili, risalite come un salmone una bella stradina in salita, magari con una borsa della spesa in una mano e il guinzaglio del vostro labrador nell’altra. Poi ne riparliamo.

Ho le ossa grosse – Magari avete ragione, però non credo di aver mai visto in nessun museo scientifico scheletri con costole che pesavano tre chili l’una. Quella delle ossa, diciamocelo, è una scusa.

Sono così di costituzione – Vabbè, ne riparliamo dopo il referendum.

Per dimagrire bisogna bere tanto – Falsissimo. Ne ho le prove! Io bevo tantissimo!

Sono grasso perché ho appena smesso di fumare – Il problema è che questa è una scusa che accampa anche chi ha buttato via l’ultima sigaretta anche dieci anni fa. Non regge.

In famiglia siamo tutti grassi – Falso (a meno che tu non ti chiami Grassi di cognome). Ho visto bambini obesi con genitori che facevano la maratona di New York e ragazze magrissime figlie di madri che sembravano balenottere azzurre. Pensate alla famiglia Addams: Gomez e Morticia hanno due figli ma solo uno è ciccione. Ed è quello che mangia.

Eppure non mangio mica tanto – falsità clamorosa. Ti ho visto fare colazione con due bomboloni e mezzo litro di cioccolata calda, su…

Sono grasso perché sto attraversando un periodo di merda – scusa. Tutti i poveri disgraziati usciti dai campi di concentramento non è che avessero avuto un bel periodo…

Porco grasso non è mai contento (proverbio veneto) – non è vero. Portatelo a cena e gli vedrete brillare gli occhi.

Non si diventa grassi da Natale a Capodanno ma da Capodanno a Natale – vero ma in parte. Nei giorni che vanno da Santo Stefano a San Silvestro il grasso, che di solito preferisce il mangiare al digiuno, combatte con il proprio frigo nel tentativo di svuotarlo completamente da qualsiasi avanzo. Produce polpette mescolando carne bollita e pandori, panforti e pollo in galantina. Poi, dopo Capodanno, promette a se stesso diete che procrastinerà fino alla vigilia del Natale successivo. Ad libitum.

Non sono grasso, sono basso – di solito è una scusa, a meno che tu non sia il Pinguino di Batman o uno dei sette nani. In quel caso sei ANCHE basso.

Non sono grasso, ho preso una taglia sotto – falso. Un grasso prende sempre due taglie sopra, fino a che le trova. I vestiti elasticizzati e gli indumenti a righe (soprattutto orizzontali) sono i veri nemici dei grassi. E’ preferibile indossare un capo d’abbigliamento nero perché, dicono, il nero sfina. Evitare come la peste, per questo stesso motivo, i profilattici neri. A meno che tu non sia Rocco Siffredi.

Un grasso non è mai felice – falsissimo. Una volta ho conosciuto un napoletano che si chiamava Felice e sarà stato 150 chili!

Immagine di testata: Fernando Botero, Monna Lisa (1963)

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Fertility Nativity Day

Perché non tutte le coppie concepiscono per grazia ricevuta. Perché non tutte le coppie hanno i santi in Paradiso. Perché non tutte le coppie hanno una capanna sulla testa con riscaldamento annesso. Il Fertility Day prendiamolo a ridere, vai.

Nella foto, il riscaldamento.

M: Beppe, ho fatto il test?
G: Per entrare a medicina?
M: No imbecille, il test di gravidanza!
G: Come il test di gravidanza, gravidanza di che?
M: E’ venuto un angelo e mi ha detto che ero in stato interessante. Io non ci credevo e ho fatto il test. Oh te…
G: Angelo? Chi è questo Angelo?
M: Non lo so, si chiama Gabriele!
G: Angelo o Gabriele?! Lo sapevo che non ti dovevo lasciare a casa da sola!
M: L’Arcangelo Gabriele, duro! Dice che nascerà intorno a Natale!
G: Ecco! Fortunati come siamo stai a vedere che ci nasce proprio il giorno di Natale! Ma scusa una cosa Maria, come hai fatto a rimanere incinta se io e te, che tra l’altro si sarebbe anche marito e moglie, la prima notte di nozze ci s’ha sempre da festeggialla?
M: Lo Spirito Santo!
G: Ecco, dammi un gotto di spirito santo vai, è meglio!
M: Senti Beppe, io a partorire a casa un ci vorrei stare! S’andasse a Betlemme?
G: Sie meglio, con tutte quelle curve, poi sotto le feste in quel modo, voi sapè che casino si trova, no no…si sta dalla mi mamma.
M: Ma chi la conosce la tu mamma! Un si sa nemmeno chi sia la tu mamma. Non ce n’è uno che si ricordi della tu mamma!
G: Si va alla Salus!
M: Sie, poi viene della Pantera! E poi la Salus non c’è più da anni.
G: Almeno chiamiamo il Dottor Cito, io lo conosco, è bravo!
M: Bravo? Guarda come è venuto il su figliolo…figuriamoci i figlioli di quell’altri…
G: E allora dove vorresti andare, sentiamo!
M: Te l’ho detto, a Betlemme, ho trovato una stalla su Trip Advisor e c’era un commento di un pastore che diceva; “Ci sono stato da Dio!”
G: Maria, ascolta un attimino! Già questa cosa dell’Angelo mi puzza un pochino…poi la stalla. E con che ci vorresti andare a Betlemme?
M: Con la Due Cavalli!
G: Macché due cavalli, io al massimo c’ho un ciuchino!
M: Bel pezzente sei! Un falegname dovevo prendere! La prossima volta pei mobili fo’ da me e vò all’Ikea!
G: Si poi voglio vedere chi te li monta! Il ciuco va bene anche come riscaldamento, basta accoppialo con un bove e siamo apposto! D’inverno il bue e l’asinello e d’estate il pinguino!
M: Che figure mi fai fare? Verranno anche a trovarci i Magi!
G: Della Lupa?
M: I Re Magi! Melchiorre, Baldassarre e il Principe Marchetti!
G: Porteranno Frutta, Incenso e Mirra!
M: E’ la frutta del Marchetti, quella costa più dell’oro! Senti, ma come si chiama questo citto?
G: A me mi garberebbe venisse fuori una femmina! Se è femmina si chiama Caterina! Come la Santa!
M: No, a me i nomi sacri proprio un mi garbano! Chiamiamolo Ridge!
G: Si, Gesù…
M: O, lo sai che è ganzo…
G: Ridge?
M: No, Gesù
G: O, ma io scherzavo….

Duetto tratto dallo spettacolo di improvvisazione, “Mattaglia: default”, 23 settembre 2011. Cinque anni prima del Fertility Day.

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Gli incontri più assurdi che io abbia mai fatto in un negozio

Vivere in una piccola città ti offre la possibilità di entrare ancora in qualche piccolo negozio dove, se sei particolarmente fortunato, capita di imbattersi in umanità di vario genere. Ecco gli incontri più assurdi che io abbia mai fatto in un negozio:

Decimo posto: estate caldissima; dal vinaio entriamo per prendere due panini e troviamo l’oste a torso nudo coperto soltanto da un grembiule. Sta affettando un pane stringendolo sotto l’ascella. Ordiniamo: “Due gottini di rosso e ce ne andiamo!”

Nono posto: pizzeria al taglio, siamo io e un altro signore in fila, ma lui è prima di me. Siamo vicino alla chiusura e ci sono rimasti una quindicina di pezzi. Chiedo all’altro: “Lei quanti ne prende?” e lui a me: “ A lei quanti ne servono?” “ Me ne bastano tre, grazie”. Lui, rivolto al pizzaiolo: “Me li dia tutti!”. E’ la sera che ho iniziato a studiare il voodoo.

Ottavo posto: in ferramenta, sono in fila aspettando il mio turno. Entra un signore un po’ avvinazzato, supera la fila tra le proteste di tutti e al bancone chiede: “Le brugole ce l’hai?” ”Sì” Il signore avvinazzato sorride e dice: “Bene, o cacciatele nel culo!” E esce. Forse c’era stato uno screzio al bar, poco prima.

Settimo posto: dal fornaio, studentessa fuori sede evidentemente appena arrivata in città: “scusi, che cos’è il ciaccino?” “E’ una pizza bianca che può essere anche ripiena”. “Ok, allora una pizza bianca, una focaccia ripiena e un ciaccino.”

Sesto posto: In gelateria, turista anglofona alla gelataia: “Scusi mi fa assaggiare pistaccio? E anche nociolla? E anche straciadela?” Dopo avere ingurgitato tre palette, la turista esce dicendo: “No piace niente!”

Quinto posto: Signore insospettabile sottovoce all’edicolante: “Ma  i porni non li fanno più?” “Sì, ma non li tengo” “Maremma cane, ‘un mi fa internette!!!”

Quarto posto: Alimentari, signora ben vestita agita un cartone di latte: “E’ parzialmente stremato?”. Alimentarista: “No, è intero ma se continua a sciaguattarlo diventa stremato del tutto”.

Terzo posto: in farmacia, trentenne vecchio con la camicia a maniche corte. Gli dico: “C’era prima lei?” E lui: “No no, c’era prima lei”. E mi passa avanti.

Secondo posto: alimentari sotto casa, donnina di millemila anni: “Ce l’ha il prosciutto di palma?”

Primo posto: fruttivendolo di cui non dirò il nome, tanto il cognome lo sapete. Entra una bella signora con due figlie ventenni spettacolari. Prende un cestino di fragole, lo porge al fruttivendolo e chiede: “Me le frulla?”. Lui: “Magari Signora, magari.”

 

L’immagine è opera dell’illustratore Eiko Ojala. Potete trovare altri suoi capolavori qui: https://www.behance.net/eiko o qui: http://ploom.tv

dracula

Buon sangue…

Alla quarta domanda del questionario ho capito che non ero idoneo a donare il sangue, allora ho iniziato a rispondere alle domande a modo mio:

D: “Ha avuto recentemente rapporti sessuali occasionali?”
R: “Non in questo millennio.”
D: “È mai stato per più di sei mesi in Inghilterra dal 1990 al 1996!”
R: “No, maledizione!”
D: “Ha recentemente fatto uso di sostanze psicotrope?”
R: “Non credo, ma non ci giurerei. Sono confuso.”
D: “Ha un peso corporeo superiore a 50 kg?”
R: “Con i vestiti o senza?”

Scherzi a parte: donare il sangue fa bene, può salvare una vita e ti danno anche la colazione gratis. Voi che potete, fatelo!

spiderman-donor

L’immagine della testata è ripresa dalla campagna per il World Blood Donor Day 2014.

L’immagine nel post è la campagna per l’Hellenic Association of Blood Doors realizzata da JWT nel 2013.

parlare

L’Urgenza del Parlare (a vanvera)

Siamo tutti ammalati. La malattia ce l’ha attaccata un ragazzo di nome Marco. Marco Zuckerberg. Ci ha messo in mano un megafono e ci è esploso come un giocattolo bomba. E tutti noi, con le mani a brandelli e con la faccia bruciacchiata non ce la facciamo, dobbiamo parlare. Dobbiamo postare. In sette o otto anni abbiamo sfanculato quelle cose che le nostre nonne ci avevano insegnato sventolandoci per un orecchio: la moderazione, la mediazione, la buona creanza, la buona educazione, il buon gusto. Tutta colpa di Marchino e del suo megafono esplosivo. La nonna ci aveva insegnato faticosamente a contare fino a dieci prima di parlare e Marco ci ha messo il tasto “Pubblica” che lampeggia quando arrivi a contare il due.

Erano risusciti a farci capire che non si parla prima che il nostro interlocutore abbia finito e ci hanno tirato fuori WhatsApp dove si conversa in gruppo ma ognuno segue il suo filo.

Cosicché un amico dice: “Avete saputo di Marta?” mentre un altro propone: “Pizzino stasera?” e un altro ancora esordisce con: “Quanto costa il Cinema in Fortezza?”. In questo modo viene fuori che Marta la chiamavano Jeeg Robot e il cinema costa come una pizza quattro stagioni più birra artigianale, la quale birra, tuttavia, è incinta di Sergio, uno dei fratelli Vanzina.

Il social ci sta dando armi per diventare isole che ascoltano solo se stesse. Che c’entra, siamo tutti iperinformati in tempo reale di quello che accade dall’altra parte del mondo e perfino nella casa accanto. Anche se conosciamo per filo e per segno l’altra parte del mondo (l’abbiamo vista su Instagram) e non ci salutiamo col vicino di pianerottolo. La gente parla con quei tre o quattrocento amici al giorno che per non fare sentire soli, chiami anche la notte alle tre, quando sarebbe giusto essere mandati a quel paese da chi ti fa vibrare il cellulare mentre sei in piena fase rem. O magari, quando finalmente, dopo tanto penare l’avevi chiesta e ottenuta.

Ma la cosa più atroce è l’urgenza del parlare. Ci avevano abituati ad aprire bocca solo se avevamo qualcosa di intelligente da dire. Ma niente, è saltato per aria anche questo. Dobbiamo dire per forza qualcosa, basta sia, altrimenti abbiamo paura che la prossima volta che ci guarderemo allo specchio non ci troveremo niente. E nel parlare per forza, per forza spesso si parla a vanvera, tanto per dire.

C’è chi commenta tutto. E chi critica tutto. C’è chi si lamenta di tutto e chi mette mi piace a tutto. Tutto. O niente. Meglio tutto. Meglio di niente.

Ognuno si sente contemporaneamente edotto ed autorizzato a dire la sua verità che, provenendo dal tamburellare sulla tastiera da parte di un luminare, è certamente e incontrovertibilmente, una verità assoluta.

Io ad esempio quando ho iniziato a scrivere questo post avevo qualcosa di intelligente da dire, ve lo giuro, ma l’ho dimenticata. Nel frattempo però ho fatto tre altri post del blog, quattro post su facebook e sei su Instagram. Su Twitter no, Twitter è morto. O è malato grave. Meglio Snapchat. Però poi dopo poco quello che dici scompare. Che forse non è mica un male. Forse. Boh? Condividi? Dai, condividi. Anche se non condividi, condividimelo, ti prego, fallo per me…

Vabbè dai, ora mi zitto. Per qualche ora. Anzi, no, mi è venuta una cosa ganzissima da dire. Ci vediamo su Facebook. Un post solo e poi smetto. Ma questo lo posto. Sì sì, questo lo posto. Alla zitta.

 

L’immagine è opera dell’illustratore Eiko Ojala. Potete trovare altri suoi capolavori qui: https://www.behance.net/eiko o qui: http://ploom.tv

cito

Cicciottelli rispondete!

50 modi in cui vi consiglio di rispondere a chi vi dice “sei grasso”. Da usare a seconda delle situazioni. Sempre col sorriso in bocca. Senza masticare.

  • Non sono grasso, ho i vestiti infeltriti.
  • Non sono grasso, siete voi che siete magri.
  • Non sono grasso, me lo disse anche Pavarotti.
  • E’ perché ho il metabolismo basso, io sono grasso per non fargli venire i complessi.
  • Che ci vuoi fare? Mangio.
  • The winter is coming.
  • E ho il culo grosso per cacare gli stronzi come te.
  • Guarda il mio dito medio. Vedi grasso anche questo?
  • Grazie dell’informazione, non me ne ero accorto.
  • Non sono grasso, sono ricco di sostanze adipose.
  • La mia dietologa mi ha lasciato.
  • Mi vedi ingrassato? E ancora non è finita…
  • Ah sì? E io che aspettavo le doglie…
  • Ho le ossa grosse. Quelle delle bistecche…
  • Faccio la dieta del fantino. Ne mangio due al giorno.
  • Ho sbagliato a leggere le istruzioni della Philadelphia Light.
  • Purtroppo ero paribollo di Rotolone.
  • Mi hanno levato le tonsille da grande.
  • Giuro che non lo faccio più.
  • Ti sbagli, sei astigmatico.
  • Ho esagerato con il pranzo della comunione.
  • Che vuoi che sia, c’è di peggio. Tipo la peste, l’ebola.
  • Se me lo fai notare ancora ti rompo tutto.
  • Devo interpretare il Pinguino di Batman. Poi ritorno normale come Christian Bale. Giuro!
  • Tranquillo, passa.
  • Ma che mi rompi i coglioni?!!!!!!
  • Sono magro dentro.
  • Dopo due anni dalla nostra morte io e te peseremo uguale.
  • Secco fa rima con becco.
  • M’hai fatto venire fame.
  • Ma ti sei visto te, mostro?
  • Facevo il modello. Per Botero.
  • Ti avverto, sono intollerante ai cacacazzo.
  • Vuoi scommettere che tra un anno…
  • Una volta ho conosciuto uno che diceva a un altro che era grasso. Non l’ho più visto.
  • Sono stato a cena con Chuck Norris.
  • Grasso? Io?
  • Sì, e non so nemmeno tirare con l’arco.
  • Vedrai, m’hanno regalato dei vestiti larghi…
  • Faccio troppo sport, sono ingrossato.
  • Non so’ grasso, so’ gonfio! (cit.)
  • Sì, ora vogliamo parlare delle tue ascelle?
  • Io sto bene così! ma fammi riposare dieci minuti.
  • E se mi si blocca l’ascensore per un paio di settimane?
  • L’avevo capito da quando una tribù di cannibali ha iniziato a mandarmi gli auguri di compleanno.
  • Che ci vuoi fare, è la mia natura….
  • Sì, ma anche te sei pesante…
  • La ringrazio del suo interessamento nei confronti della mia salute ma ora mi scusi che ho una cena.
  • Mi hai fatto venire voglia di un pranzetto.
  • Sì lo so, sono grasso. Tu sai che tua madre fa delle gran scorpacciate di ghiande?
  • Foto di Giulio Storti

    dead

    Morire: prima di Facebook era “riposare in pace”

    Se ti succedeva di morire ed eri sconosciuto ti piangevano i parenti;
    se eri famosissimo c’era un servizio al telegiornale.
    Ma siccome ora anche lo sconosciuto c’ha mille amici,
    me lo dite a che servono i manifesti attaccati ai muri?
    Tanto la notizia di un trapasso ti arriva come un lampo
    mentre controlli gli accidenti che si mandano i tuoi amici.
    Un tempo capitava che se per una settimana non uscivi
    padellavi il manifesto e dopo qualche mese chiedevi:
    “Ma Tizio che fine ha fatto, è da tanto che ‘un lo vedo…”
    “Ma come ‘un lo sai del coccolone? Ormai ‘un puzza neanche più!”
    Prima, se eri una celebrità l’articolo te lo scrivevano
    avanti che tu morissi e si chiamava “coccodrillo”.
    Anche ora lo scrivono prima che tu muoia
    ma non si chiama più coccodrillo, si chiama “bufala”.
    Poi capita che muori per davvero e se hai fatto trecento canzoni,
    di cui duecentonovantanove capolavori,
    c’è quello che va a cercare la trecentesima
    nella versione fatta mentre tossivi,
    pur di postare qualcosa a cui gli altri non avevano pensato.
    E poi spunta sempre quel video inedito
    che se volevi che rimanesse inedito forse un motivo c’era.
    Perché diciamoci la verità,
    a noi di David Bowie,
    di Prince
    o di Moira Orfei,
    mica ce ne importa per davvero.
    Sennò si uscirebbe da Facebook
    e si andrebbe a trovarli al cimitero.
    Di portare rispetto ai morti che vuoi che ce ne freghi
    se i primi a cui non si porta rispetto sono proprio quelli vivi.
    A noi ci importa di fare bella figura,
    di essere apprezzati,
    di prendere un “mi piace”,
    di essere taggati.
    Dell’arte, del talento,
    degli affetti di chi ci sta male per davvero,
    lo sai che ce ne cale?
    Aspetta, aspetta, è morto un’altro;
    c’ho da postare!

    AlmoNature

    Animali Umani VS Umani Animali

    Nel lontano anno 2000, scampato al Millenium Bug, mi sono laureato in Scienze della Comunicazione. Portavo una tesi dal titolo: “Il Palio Attaccato”. L’argomento era ovviamente il Palio di Siena. “Attaccare” il Palio, a Siena vuol dire vincerlo ma già nel 2000 la preoccupazione, anche nell’ambiente accademico, era rivolta agli “attacchi” da parte di gruppi più o meno organizzati che, spinti da un sedicente amore per gli animali o, come credo, per ottenere il famoso quarto d’ora di celebrità, scelgono ancora oggi con cadenza regolare la festa senese come nemico pubblico numero uno.

    Vi risparmio il contenuto della tesi e di quali tecniche di comunicazione secondo il me di allora potevano essere attuate a tutela del Palio; quello che mi interessa raccontare è una parte, secondo me la più acuta, del lavoro che osservava come, a partire dal dopoguerra, l’animale abbia assunto un’accezione e una percezione presso i pubblici di massa che prima non aveva. Questo passaggio si attua negli anni del boom economico, in cui le campagne si svuotano di abitanti e gli animali da cortile come il cane, il gatto, il ciuco, diventano per chi, rifugiatosi in città non può farne a meno, animali domestici e veri e propri famigliari. Quello che era Fido, Bubi, Micio, assume un nome proprio. Sono gli anni in cui Disney si inventa il villain Crudelia De Mon che non ha come obiettivo quello di distruggere il mondo ma bensì di farsi una pelliccia di dolcissimi dalmata. Disney dà nomi propri a Lilli e al suo fidanzato bastardo (il bastardo più amato fino all’arrivo di Jon Snow), agli Aristogatti, a Dumbo e a Bambi. L’animale con Disney non è più bestia da lavoro o anello inferiore della catena alimentare, è il protagonista di una storia.

    E’ un fenomeno che definirei “antropomorfizzazione dell’animale”; la bestia che diventa umana e alla quale si attribuiscono sentimenti che di animale non hanno niente. E’ la comunicazione bellezza. Disney ha tracciato l’inizio del percorso, ci ha abituati a vedere la realtà da un altro punto di vista e quel punto di vista è diventato una nuova normalità. Una normalità che porta alcuni a considerare gli animali più umani degli umani.

    Chi gioisce per la morte di un torero, chi ammazzerebbe l’antipatico giornalista solo perché sventola un salame, chi distrugge anni di sperimentazioni in laboratorio perché fatte su delle cavie, chi toglie il miele e il latte dalla dieta di un bambino, è figlio di una deriva iniziata con il primo numero di Topolino. Che c’entra; anche io ne sono figlio e avrei dei seri problemi ad ordinare una Polenta con Stufato di Bambi in una baita di montagna oppure un piatto di Roger Rabbit alla Cacciatora.

    I tuareg hanno centinaia di nomi per chiamare un cammello, ma sono nomi che descrivono le infinite modalità in cui quella bestia, che è contemporaneamente compagno di lavoro, mezzo di trasporto, cibo, patrimonio, materia prima per vestirsi, vive le varie stagioni e i suoi malesseri nel corso della sua vita. Una vita preziosa che deve essere rispettata non perché l’animale abbia dei sentimenti umani ma perché è parte di un tutto di cui noi stessi facciamo parte con il ruolo di esseri umani. I tuareg sanno bene dove finisce l’animale e dove inizia l’uomo. Per descrivere l’animale hanno centinaia di nomi, per descrivere l’uomo soltanto uno: uomo.

    E vaffanculo a Walt Disney.

     

    L’immagine del post è tratta dalla campagna realizzata per AlmoNature da Oliviero Toscani

    credere

    Perché è meglio non credere che uccidere in nome di Dio (secondo me)

    Perché a chi non crede non interessa a chi chiedi i favori la sera prima di dormire.
    Perché, al massimo, chi non crede prima di dormire un favore lo chiede a chi è a letto con lui. Mal di testa permettendo.
    Perché per uno che non crede, ammazzare uno che non crede al suo stesso Dio non avrebbe senso.
    Perché per uno che non crede, la domenica è un buon giorno per fare festa, esattamente come il lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì e sabato.
    Perché uno che non crede il Paradiso lo cerca prima di morire.
    Perché uno che non crede tende a tollerare di più, anche chi crede.
    Perché per uno che non crede il senso del dovere prevale sul senso di colpa.
    Perché uno che non crede, il perdono lo cerca dalle persone. E magari chiede anche scusa.
    Perché uno che non crede quando muore è morto.
    Perché se uno che non crede ha a che fare con un “infedele”, al massimo divorzia.
    Perché uno che non crede sa che trovare 70 vergini è proprio impossibile.
    Perché uno che non crede, a meno che non sia celiaco, può mangiare quello che vuole.
    Perché uno che non crede cerca di godere…ma se anche un altro gode, non è poi questo gran problema.
    Perché per uno che non crede, se un altro sceglie di morire, è perché ha fatto la sua scelta.
    Perché uno che non crede, ad un concerto non ci andrebbe mai con un kalashnikov. Semmai scavalcherebbe.
    Perché per uno che non crede, Dio, Allah e Buddha sono personaggi di libri.
    Perché per uno che non crede, quello che dice un libro l’ha detto l’autore del libro. E basta.
    Perché per uno che non crede, nessun Dio fa lo scrittore.

    L’immagine fa parte della campagna “Unhate”, realizzata nel 2011 da Fabrica per Benetton Group

    interessi

    Gli interessi di un maschio in 5 lettere

    Come cambiano nel tempo gli interessi di un maschio? Cambia poco, solo qualche vocale.

    0 anni – La poppa
    1 anno – La pappa
    3 anni – La Peppa
    5 anni – La Pimpa
    13 anni – La pippa
    15 anni – La puppa
    18 anni – La pompa
    21 anni – La pompa (della benzina)
    30 anni – La pippa(ta)
    50 anni – La poppa (della barca)
    75 anni – La Peppa (badante)
    80 anni – La pappa
    85 anni – La pompa (dell’ossigeno)
    90 anni – La pompa (funebre)