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I ginocchi sbucciati

A Siena le ginocchia si chiamano “ginocchi” per cui passatemi la licenza poetica del titolo.

Stamani ho rivisto, dopo tanto tempo, un esemplare di bambino con i ginocchi sbucciati. Credevo fossero in via d’estinzione e invece, quel ragazzino che andava a scuola con un pantalone della tuta alzato e con il ginocchio fasciato da una garza, mi ha rimesso in moto la mia macchina del tempo personale. Mi ero rassegnato al fatto che i bambini avessero smesso di giocare per la strada procurandosi delle ferite e quella gamba malconcia mi ha restituito una speranza. La speranza di rivedere qualche gruppetto di bambini che, invece di andare a scuola, si trovano in Piazza del Mercato a fare il Palio delle biciclette, tirandole a sorte perché nel Palio si fa così e poi tornano a casa inventandosene un’altra per giustificare quei jeans strappati e sanguinosi. Mi ero rassegnato al fatto che a forza di difendere i nostri figli dal bullismo, gli abbiamo tolto l’educazione dello scapaccione, della masa, del biscotto, della piffera dati a fin di bene.
Mi ero rassegnato al fatto che, in un mondo in cui tutto è organizzato, anche il tempo libero ci rende prigionieri. Prigionieri di orari da rispettare, di lezioni di sport dove gli amici non li scegli da solo, prigionieri di un’educazione che non prevede la maleducazione che si trova in natura nel corso della vita. I ginocchi sbucciati erano un dolore terapeutico, perché la vita ha bisogno di croste che si formano e poi staccano al tempo giusto. E se provi a staccarti le croste dal ginocchio prima del tempo, nove volte su dieci tocca ripartire da capo, dalla carne viva. Ed è più facile che resti la cicatrice.

Siano benedetti i ginocchi sbucciati e sia benedetta la vita, anche quando è dura e grigia come la pietra serena.

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La generazione degli equilibristi

Ci sono due motivi per i quali questo post è ridicolo: il primo è perché parla dei giovani in prima persona pur essendo scritto da uno che ha più di quarant’anni; il secondo è perché in Italia uno che ha più di quarant’anni viene trattato come se fosse un “giovane”.

La mia generazione, e tutte quelle dopo, sono generazioni di trapezisti, costretti a camminare su un filo che oscilla tra i mille euro al mese e il niente.

Ma anche tra gli equilibristi ci sono due categorie: quelli che hanno una rete sotto e quelli che non ce l’hanno. La rete sotto sono i genitori che, arrivati a quarant’anni non tutti hanno ancora o, se ce li hanno, non è detto che abbiano la possibilità di fare da rete. Magari sono lì sotto anche loro con la loro fune a stare in equilibrio tra i mille euro e il niente.

Poi c’è una terza categoria: quelli che pur avendo una rete, a un certo punto, per orgoglio o dignità, chiamatela come volete, gli chiedono di farsi da parte perché la camminata tra le Torri Gemelle come il protagonista di “The Walk” la vogliono fare da soli dal momento che alla loro età Cristo era già morto e risorto da sette anni.

Ci sono quelli che ce la fanno e sono dei grandi. Poi ci sono quelli che inciampano e cascano di sotto. A me è capitato, la rete non c’era e mi sono rotto tutto. Per fortuna sono figlio di un medico che mi ha visto steso in terra e, vuoi per il giuramento di Ippocrate, vuoi perché se vedi un figliolo spiaccicato in terra, ti viene naturale andarlo a raccattare. Grazie a lui mi sono rialzato in piedi.

Sono fortunato e non tutti hanno la stessa buona sorte.

Però mi viene da domandarmi: è vero che fare l’equilibrista è pericoloso e bisogna farsene una ragione; è vero che se sotto c’hai il vuoto, devi imparare a camminare con prudenza e non devi saltellare perché ti sembra ganzo; è vero anche che sono finiti i tempi della mangiatoia bassa ma almeno lo Stato che gestisce il circo degli equilibristi potrebbe evitare di far tremare la corda sotto i nostri piedi in continuazione.

Non solo: chi ha un ruolo di responsabilità istituzionale (che sò, un Ministero da gestire) e ci guarda seduto sotto la corda, potrebbe (per cortesia) evitare di prenderci in giro chiamandoci “fannulloni”, “bamboccioni”, “choosy” o “gente che è meglio levarsi dai piedi”?
Ecco, questo secondo me è bullismo. Per piacere, smettetela. Avete sinceramente rotto i coglioni.

Bullismo

Come difendersi da quel bullo che si chiama Vita

Mi ci sono voluti più di 40 anni ma alla fine l’ho capito: la Vita è un bullo. È più forte di te, lo sa bene e si diverte a prenderti in giro di fronte a tutti. Il problema è che puoi fare di tutto, cercare di diventare più grosso di lei, provare a farci a cazzotti, evitarla quando la incontri per strada ma non c’è niente da fare, sarà sempre lei che, se vuole, quando vuole, potrà infilarti in un cassonetto come succedeva ogni mattina a Bastian né “La storia infinita”.

Te vai avanti per la tua strada, fai il tuo percorso ma se lei se lo mette in testa, esce fuori e ti fa uno sgambetto, ti fa gli scherzi, ti ruba la colazione. E non puoi andare dalla maestra e dire: “Maestra, la Vita mi ha dato noia!”. Te la devi risolvere da solo.
Parola di uno che via via ne ha buscate. Ma se ne è fatto una ragione.

Perché i bulletti che ho incontrato nel corso della mia vita mi hanno insegnato che ci sono due modi per sconfiggerli se non puoi farlo con la forza: o gli fai credere che dei loro scherzi non te ne importa niente oppure provi a farci amicizia. Che forse è la cosa migliore che puoi fare.
Da piccolo andavo a giocare al Costone, grande scuola di vita e di amicizia. C’era un ragazzone che aveva un paio di anni più di me, che quando hai otto o nove anni sembrano cento. Era più grande e anche più grosso e non aveva accettato di buon grado di aver perso la mamma a quell’età. Si divertiva a picchiare forte prima di tornare a casa. All’inizio ci faceva piangere tutti, noi mingherlini. Poi si stancò. Quando si accorse che non si piangeva più tanto facilmente. Non so che fine abbia fatto. Spero che abbia fatto pace con se stesso.
Piangersi addosso ha questo effetto: la Vita continua a picchiarti. Se invece provi a fare finta che quelle legnate lasciano il tempo che trovano, anche la Vita si stanca di prendersela con te e basta.
Fare amicizia con la Vita è un’altra soluzione. Il carattere non glielo cambi mica; però se le piglia il matto e ti fa cadere, è diverso se quando ti rialzi le fai vedere che gli ridi in faccia. Vedrai che poi ti ride anche lei. Non dico che sia facile, è solo più conveniente. Le mostri il dito medio mentre aspetti il prossimo sgambetto. Tanto quelli non mancheranno mai, anche quando avrai ottant’anni. Ridere della Vita mentre ti accade di vivere è il tuo Fortunadrago. E non c’è arma più forte per sconfiggere un bullo che sarà sempre più forte di te. Che poi, tanto, la Vita mica dura per sempre.