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Carlino Carlo castellani

Carlino, il Re delle Linguacce

Per quanto possa essere bravo a recitare, un goliardo vero la parte del goliardo non la recita mai. Lo è e basta, fino all’ultimo. Carlo Castellani detto Carlino, la Goliardia ce l’aveva dentro con tutti i suoi colori: la comicità, la buffezza, l’ironia, il romanticismo, il sarcasmo, il cinismo, il gusto per la risata facilissima e per quella altamente sofisticata, la modernità e il classicismo, il rock, il rap, il jazz e lo swing, il buon gusto e il disgusto.
Una persona composta da sfaccettature così antitetiche che anche i suoi incisivi andavano uno da una parte e uno dall’altra.

Se è stato il tuo regista non puoi non ricordare il ritorno a casa dopo i ritrovi a scrivere: mentre ti toglievi il maglione per andare a letto, sentivi l’odore di un incendio in tabaccheria. Me non puoi dimenticare le risate che si facevano a vederlo spiegarti tutti i personaggi, fatti da lui che aveva una mimica da saltimbanco della commedia dell’arte. Totò, Dario Fo e Crozza messi insieme ma senza la spocchia di un premio Nobel o di un attore strapagato.

Quando andò in pensione pubblicò una foto su Facebook mentre timbrava il suo ultimo cartellino in mutande: era la sua parodia di quei furbetti che lo facevano a Sanremo senza scherzare.
Lo trovai alcuni giorni dopo e mi disse: “Te lo immagini, ora mi danno lo stipendio per non fare una sega…”
La sua nuova condizione di pensionato non lo convinceva mica tanto. Piuttosto che invecchiare è meglio perfino andare a lavoro, pensa un po’.
Per uno che ha macinato serate a fare tardi una dietro l’altra, come fossero sigarette, dover smettere di fumare è un bel contrappasso.

Lo abbiamo brontolato quando è venuto a vedere le prove dell’ultima operetta di quei rincoglioniti di dottori. Ha dato due boccate e qualcuno, saggiamente, gli ha detto: “O Carlino, ma allora non ti vuoi rassegnare a non morì…”
Lui ha fatto una risata, ha spento la sigaretta e ha cambiato discorso: “Fatemi vedè questa scena, vai…”
Quando muore un goliardo non dovete piangere per lui. Se era un goliardo, la Vita l’ha rigirata come un calzino. E se l’è goduta boccata dopo boccata. Semmai piangete per voi stessi che lo avete perso.
“O Carlino, dai retta, come hai fatto hai fatto bene!”.

Grazie per tutte le linguacce che ci hai lasciato in eredità.

Tuo, Tagliatella

PS. Un grande abbraccio a Martino

una città di scienziati

Il ritorno dello Jackyill

Era il mio ultimo anno di università quando mi inventai “Lo strano coso del Dottor Jackyill”: l’operetta voluta dal Principe Carlino Pini per il glorioso anno goliardico 2000. La regia era di Luca Virgili (noto per il grande, grandissimo pubblico come Fresco). Le canzoni di Francesco Marchetti (Sogliola) e Carlo Lorenzini (Buzzo). Tra tutte le canzoni spicca sicuramente il Mascara, cantata egregiamente da Bubba e Nix, oggi rispettivamente professore di lettere e dentista. La strana fissa del Dottor Jacyill era inventare una cosa che, arrivato alla tenera età di 50 anni non aveva mai visto, neppure dipinta. E così si dipanavano due ore di battute tra crisi di nervi, Regine d’Inghilterra, guerrieri Maori, guardie di Buckingham Palace e mostri vari.
Molti sostengono, con buona ragione, che ogni cosa abbia il suo tempo. E spesso sono d’accordo anche io. Però, quando mi è stato chiesto di riportare una scena del Jackyill sul palco dei Rozzi, all’interno dell’Operetta “Una città di scienziati”, non c’ho pensato un attimo a non dire di sì.

I motivi sono molti: il primo è perché ritrovare in scena amici che si erano allontanati per vari motivi della vita, è ganzissimo. Secondo perché rivedendo alcune scene abbiamo riscoperto che erano buffe per davvero, terzo, perché invecchiare, ve lo giuro, è una gran cacata e a noi non ci garba.

State tranquilli, io e Rotolone non siamo mai in scena insieme per cui il palco reggerà. Ci saranno anche il Mascara e canzoni anche più belle di altre operette. Il bollore sale.

“Una città di scienziati” è una raccolta di molte scene tratte da varie operette che mostrano la capacità dei goliardi senesi di prendere in giro il potere di turno in città.

Se non avete di meglio da fare (anche perché non c’è niente di meglio da fare) saremo in scena il 25 e 26 novembre prossimi. E non ci sarà solo Jackyill, ci saranno tanti personaggi delle operette dal 2000 a oggi, interpretate da dottori e studenti insieme. I biglietti rimasti per vedere le due rappresentazioni di “Una città di scienziati” sono pochi, quelli che ci sono li trovate dal Nannini tutti i giorni dalle 12.30 alle 13.30 e dalle 19.30 alle 20.30.

Noi ci si sta divertendo. Se volete, potete farlo anche voi.

PS: Le Ferie sono e rimarranno degli studenti. Dottori, culo! Compreso Jackyill.

In testata la locandina dell’Operetta è opera di Mido

evento verdone 2

I Potenti, Quelli che vogliono diventare potenti e i Trombati

Il mio intervento su Potenti e affini in occasione del settantesimo anniversario dell’Operetta “Il Trionfo dell’Odore” scritta da Mario Verdone.

SIENA, 3 marzo 2015

Scusate, volevo andare a Braccio ma alla rotonda di Fontebecci c’era un ingorgo, sicché ho scritto tre paginette.

Perdonatemi le volgarità eventuali.

Per scrivere un’operetta non basta essere bravi a scrivere. Per scrivere un’operetta bisogna avere due caratteristiche: essere studenti ed essere goliardi. Essere studenti è abbastanza facile; la cosa difficile è l’altra, perché ci devi essere portato, un po’ di talento naturale ce lo devi avere. Quando
cominciai a fare le Feriae, il Principe di allora mi disse: “Te saresti quello bravo a scrivere? Ecco, domani ci si trova, porta una scena.
Ambientazione: far west”. Io secondo voi portai una scena? Noooo, portai tutto il primo atto. Lo scrissi in una notte, di corsa. E correvo, correvo, correvo…fino a quando non arrivai…alla lettura del mio capolavoro davanti agli anziani. C’ero io, il regista Carlino Castellani, il Principe Mao
Garosi, quattro o cinque pluribollati e l’aiuto regista: una figura epica, Giorgino il De Sanctis che mi guardava, come se fossi un marziano, con in bocca una sigaretta finissima che fumava senza mai sgrullare la cenere.
Inizio a leggere e, solo nel primo atto, metto 37 cambi di scena, compresa una vista aerea del villaggio Sioux (e ancora non avevano inventato i droni per tutti). Alzo gli occhi dal copione e vedo un Giorgino basito, che mi fissa dietro una coltre di fumo con la cenere che gli era caduta disperata sulla pancia. Mi guarda, mi lancia addosso un bestemmione e fa: “Tagliatella, ma te vuoi fare l’operetta o il cinema???”.
Del mio primo atto andò in scena solo il titolo: “Phicauntas”. Quello piacque.
Allora, come deve essere un’operetta per evitare le cartate dai dottori e dal pubblico? E di cosa deve parlare? Sono auspicabili i motti arguti e le battute costruite con intelligenza, tipo
“Sopra NOI capre la Banca campa, sotto UNA capra la banca crepa”.
Però ci sta che non faccia ridere, sapete, il pubblico è un po’ macchinoso.

Quindi se le battute difficili non vi riescono, saltuariamente è consentitoricorrere a doppi sensi, anche licenziosi, tipo: “Dov’é la principessa?” “Sire, la Principessa è sul pisello!”.
Oppure potete fare uso della gestualità corporea, tipo: “Con quante sei andato mentre eri in Erasmus?” (Agitando la mano come per dire “insomma”) “Sei???!!!” “No, quasi una!”
L’operetta che va in scena a maggio, viene scritta fin da settembre dell’anno prima, e passa una serie di vagli, di tagli e di revisioni fatti durante cene e libagioni con i più anziani. Durante la prima lettura c’è sempre uno che viene invitato per rappresentare lo spettatore medio (all’epoca mia si chiamava Provenzano); ecco, se ride lui vuol dire che il teatro riderà. Di solito la sua risata è questa (faccio la risata di Provenzano) e poi alla fine della risata, ti spiega anche la battuta…che hai scritto te.
Lo spettatore medio ride a delle cose di cui non riesci a darti una spiegazione, tipo: “Alabarda spazialeeee!!!” o “Sono il Paguro. Avvicino la testa al culo, quando ho pagura.“ Queste fecero ridere, ve lo giuro, ma non ho mai capito il perché.

Poi, quando vai in scena ci sono delle variabili umane impreviste tipo l’”attore che non ci mette mano” o il “goliardo anziano ingestibile”.
L’attore che non ci mette mano è quello che: o non impara il copione, oppure impara anche le parti che spiegano la parte. Mi ricordo di una volta in cui un mio paribollo, che per rispetto chiameremo con un nome di fantasia, Rotolone, imparò la sua battuta così: “Quanto prese all’esame? Diciotto. Diciotto coltellate gli piantò nel cuore. Guarda l’orologio ed esclama. E’
tardi. Esce di scena correndo.” Nooo Rotolo, quello tra parentesi non lo devi dire…..
Oppure il goliardo ingestibile. Era il ’97 e sul proscenio dovevo stare nascosto dentro un barile e uscire fuori alla fine di una scena di gruppo in cui recitavano studenti che avevano da 9 bolli in su. Tra loro c’era un goliardo che, per garantire la sua privacy, chiamerò con un nome generico, Pippo.
Quel pomeriggio Pippo aveva un pochino straviziato; tirando su lo sguardo lo vidi comparire da sopra alla botte che mi guardava chiedendomi: ”Che devo di?”. Io gli suggerii la sua battuta e lui: “Non ho capitooo!!!!” Cominciò a scuotere il barile rischiando di farmi rotolare sull’orchestra. Io uscii fuori dalla botte tipo Arlecchino con un “Eccomi qua” che strappò anche un applauso.
Il problema fu proseguire. Pippo fu portato fuori e a un vigile del fuoco di turno dietro le quinte disse: “Pompiere, sigaretta” E lui: “Guardi che sono qui proprio perché non si può fumare” “Accesa!” Il vigile del fuoco non se la sentì di contraddirlo, prese il proprio pacchetto, accese una sigaretta, e la porse a Pippo, che proseguì felice la sua serata al bar.
Di variabili impazzite ce ne sono diverse ma quando scrivi un’operetta devi essere un po’ coraggioso e tenere sempre presente che l’operetta deveprendere di mira e deridere chicchessia ma principalmente tre categorie di esseri umani: i potenti, quelli che vogliono diventare potenti e i trombati.
“I potenti” sono l’obiettivo principale, è ovvio che al Goliardo restino un pochino sulle palle. Sono quelli che possono NON FARTI FARE qualcosa che vorresti fare o che possono dirti COME lo devi fare:

Chi sono?

I professori che POSSONO decidere il tuo voto
i vigili e le guardie che POSSONO farti la multa,
i dottori polemici che POSSONO rovinarti una serata a bollore,
i medici che POSSONO leggere le tue analisi del sangue,
i dietologi (io li odio proprio) che POSSONO dirti quanto e soprattutto cosa mangiare e bere,
i banchieri che POSSONO decidere se avrai o non avrai il mutuo
il Rettore che PUO’ decidere come va la tua Università,
il Sindaco e gli assessori che POSSONO stabilire come va la tua Città,
i presidenti di qualsiasi cosa che POSSONO comandarti, metterti le tasse, cambiare le carte in tavola,
i preti e gli arcivescovi che POSSONO farti venire i sensi di colpa,
il Papa che PUO’ chiacchierare tutte le domeniche,
il Papa Emerito che PUO’ dire “sono stato Papa…e sono ancora vivo!!!”
e infine, più potente di tutti e per questo da prendere in giro più di tutti, la Morte, che PUO’ toglierti la parola quando gli pare.

Poi ci sono “quelli che sperano di diventare potenti” sembrano ganzissimi, ti promettono che domani ti alzerai bello, ricco e senza occhiaie, che il mondo sarà come lo vuoi te, che quando ci saranno loro vedrai che libidine.
E il problema è che ci credi! Chi sono? Oltre a Lucignolo e a tanti venditori di fumo, ci sono i lecchini e i lacchè, i portaborse, gli assistenti, i candidati a tutto, i giornalisti che non fanno le domande e tutti quelli che conoscete che per non rischiare di cascare strisciano.
Infine ci sono “i trombati” sono tutti gli “ex qualcosa”. Tutti, tranne l’Ex Sindaco di Firenze che va messo nella prima categoria.
Sono quelli che hanno toccato il fiocco dei calci in culo, magari l’hanno anche preso, ma mentre la giostra girava, gli è cascato di mano. Ecco, quelli sono pericolosi, perché continuano a rimuginarci. “Eppure l’avevo preso, potevo fare un altro giro a sbafo, accidenti a quello dietro che mi pintava, questo giro non vale, ora sento se mi rifanno montare…”. Queste sono le tre categorie che chi scrive un’operetta dovrebbe mettere sempre tra i personaggi. Non potete capire quanto, per un ragazzo di 20 anni sia bello scrivere per il teatro goliardico. In quel momento pensi che te nella vita non potrai mai diventare come qualcuno di quelli che metti alla berlina. E
questa è un’illusione meravigliosa.

La Goliardia è meravigliosa. E ha una mamma ancora più bella di lei. È una signora di una certa età ma è sempre discreta, una milfona, insomma. E si chiama Libertà. Piace a tutti eh, ma fa paura, mette soggezione. Perché come scrisse il grande Roby Ricci, la Libertà è un cavallo che scalpita. E per un Goliardo, che si diverte a prendersi gioco di potenti, aspiranti potenti e
trombati, quel cavallo continua a correre fino a che la Morte, la più potente tra i potenti, non decide che le tue battute le sono venute a noia.
Quello che possiamo fare è continuare a tramandarci, per fare in modo che ci sia sempre qualcuno dopo di te capace di far correre quel cavallo. Perché nessuno è eterno, nessuno viene risparmiato.

NEMINI PARCETUR.
GAUDEAMUS.

Foto di Mario Llorca. Per vedere i suoi lavori mariollorca.com

Evento verdone

Evento verdone

roberto ricci

Roby è presente. Ancora.

Oggi sarebbe stato il compleanno di Roberto e mi piace ricordarlo così, con le parole che scrissi di getto quando, tre anni fa, la Nobile Contrada dell’Aquila decise di ricordare il suo figlio più bello, in una serata in Piazza Jacopo della Quercia in cui si ritrovarono più di mille persone.

“Per lavoro e per passione mi diverto a scomporre i molteplici significati delle parole di quella meravigliosa lingua che è l’italiano. Questo lo devo molto a Roberto Ricci che, quando avevo quattro anni mi dette una spinta sul palco del Teatro dei Rinnovati in una delle primissime edizioni di Ondeon. Lui, che di anni ne aveva diciotto, aveva scritto, con la sorella Patrizia, un delizioso sketch dove dei bambini armati di martello, distruggevano il mondo degli adulti per ricostruirlo a misura loro. Da quel momento per me e per la mia generazione di contradaioli dell’Aquila, salire e scendere dal palcoscenico è stato un appuntamento costante. E con noi c’è sempre stato Roberto, il cui strumento, a differenza di ciò che tutti credono, non era la chitarra ma la testa. Una testa capace di raggiungere picchi altissimi di poesia e contemporaneamente di giocherellare con i pertugi anche triviali, del nostro vocabolario. A me questa “escursione termica” tra il Roby alto e il Roby basso, mi aveva fatto innamorare di lui come di un fratello maggiore al quale tendere e che non vuoi deludere mai. Poi ci sono stati gli anni delle Feriae Matricularum. E lui, costantemente antitetico, era riuscito ad imporre un nuovo stile alla musica delle operette con canzoni memorabili fatte unendo brani di provenienze tra le più variegate.
Il Riccino è stato sempre con me, che ero consapevole che dovevo annullare la possessività nei suoi confronti, perché, come una “Bocca di Rosa” della musica, si concedeva a molti e spesso. Di Roby conveniva non essere gelosi. L’ho capito bene nei giorni di dolore che sono seguiti alla sua uscita di scena. A salutarlo c’erano, oltre a chi ci doveva essere, persone di ogni età, ex sindaci, ex rettori, studenti e suonatori, docenti e scansafatiche, bestemmiatori e sacerdoti, antiche signore e ragazzine, Quel giorno Siena era lì.
Sono stati mesi cupi e la ferita non ha ancora fatto la crosta, dopo più di tre anni la voglia è quella di cercare di girare pagina. Questo non vuol dire dimenticare, al contrario, giocando ancora con le parole, vuol dire capire che Roby è presente. Presente perché è ancora fortemente qui, in tutte le innumerevoli tracce di sé che ha disseminato per Siena. Presente perché la vita non si vive nel passato e il futuro, nel momento in cui si palesa, diventa comunque “presente”. Presente perché ci siamo tutti noi, geneticamente modificati dall’averlo vissuto come fratello, come amico, come figlio, come uomo da abbracciare a cucchiaio, come babbo, come compagno di classe o di bisbocce, come vicino di palco o compagnia notturna.
Non ho la fortuna di credere ad un “dopo” dove ci si ritrova e ci si riabbraccia. Ci spero tanto ma non ci credo. Per questo mi basta credere che il mio grande amico sia ancora qui. Fortemente presente.”

Auguri Mostro.

garibalday

Goffredo e Nando

Duetto surreale ed improbabile tra Goffredo Mameli e Nando del Grande Fratello. Per chi pensa ancora che esista davvero il progresso.

G: Ho 23 anni, mi chiamo Mameli e ho fatto “Fratelli d’Italia”

N: Ho 23 anni, mi chiamo Nando e ho fatto Grande fratello, in Italia!

G: Io Goffredo!

N: Io, c’ho cardo!

G: Sono amico di Camillo Benso di Cavour

N: Sono amico di Maria Costanzo de Filippi

G: Il mio amico Pietro Micca è saltato per aria e ci ha lasciato le penne, poveraccio!

N: Il mio amico Pietro Taricone è saltato col paracadute e ci ha lasciato le penne, porello!

G: Il mio risultato piu’ grande è stato scrivere l’inno per l’Italia: “Fratelli d’Italia…”

N: Il mio sforzo piu’ grande è stato scrivere un sms: “Frate’…bella de zio…”

G: Quando sono dentro la trincea e vedo che non ce la faccio piu’, mi frugo nelle tasche e tiro una bomba!

N: Quando sono dentro alla discoteca e vedo che non ce la faccio più, mi frugo nelle tasche e tiro!

G: Sono cresciuto con l’Italia divisa tra austriaci, francesi, papalini e borbonici, ma io sono italiano!

N: Sono cresciuto con l’Italia divisa tra milanisti, interisti, romanisti e juventini, ma io so’ da’a Lazio!

G: Mia madre mi dice “Figlio mio, prenditi la libertà'”

N: Mia madre mi dice “Figlio mio, prenditi la terza media!”

G: Io l’Italia la amo!

N: Io l’Italia me la ingropperebbe proprio!

G: Sono un bohemienne, mi sono invaghito di una fanciulla!

N: Ao’ anch’io me so’ invaghito, ma mo’ scopamo o no?

G: Ero con Garibaldi a Marsala

N: Ero con Lele Mora all’Hollywood!

G: Nino Bixio mi ha detto, Goffredo, sei stato nominato caporale!

N: Alessia Marcuzzi mi ha detto, Nando, sei stato nominato!

G: A Quarto eravamo piu’ di mille e tanti non ce l’hanno fatta!

N: A Cinecittà eravamo piu’ di mille e tanti non ce l’hanno fatta! Tiè!

G: Dopo l’Italia c’è da fare gli Italiani

N: Dopo il Grande Fratello c’è Mai dire Grande Fratello!

G: Dio benedica i carbonari

N: Dio benedica la carbonara

G: Viva Mazzini che ha fondato la Giovine Italia!

N: Viva Signorini che ha fondato Diva e Donna!

G: Onore ai ragazzi di Curtatone e Montanara!

N: Onore ai ragazzi di Dolce e Gabbana!

G: Sono Goffredo Mameli e per me l’Italia sara’ sempre una e una sola!

N: Sono Nando del Grande fratello e per me l’Italia sarà sempre una sòla!

G: W Verdi!

N: W la sorca!

G: “Che schiava di Roma iddio la creò!

N: Chi chiava de Roma, perdio la chiavò!

G: Siam pronti alla morte lItalia chiamò! Si!

N: Al bivio di Orte un trans m’inculò! Si!

G: Alle cinque giornate di Milano mi sono beccato una pallottola.

N: Alle cinque serate de Milano Marittima me so’ beccato un erpes!

G: Tra centocinquanta anni mi immagino un’Italia migliore!

N: Tra centocinquanta anni se dio ce da’ salute, faremo Grande Fratello 160!

Duetto scritto per il “Garibalday” organizzato dai Goliardi di Siena in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia il 14 maggio 2011. Fu recitato da me e da Roberto Ricci davanti ad una platea di giovani e meno giovani, tutti molto caldi. Io facevo Nando, Roby Goffredo. L’immagine è opera di Benedetto Cristofani.

Operetta 2016

Scrivere un’Operetta

Scrivere un’operetta è l’esatto contrario del sesso: vorresti arrivare alla fine il prima possibile e poi, quando stai per finire ti dispiace. Per quanto mi riguarda, il mio passaggio nel meraviglioso mondo delle Feriae ha coinciso esattamente con la mia partecipazione alla scrittura di ben cinque operette (un’altra ho contribuito a scriverla nel 2016). Sicuramente le due che sento più mie e delle quali vado maggiormente fiero sono “Billy e Pup(p)e” e “Lo strano coso del Dr Jackyll”. Si potrebbero raccontare decine di aneddoti che riguardano le due operette. Più di tutti mi piace ricordare la cenere mai scozzolata che restava attaccata alla sigaretta di Giorgino De Sanctis fino al momento in cui la forza di gravità non la faceva atterrare sulla sua pancia. Lo stesso Giorgino, con un’aria imperscrutabile ascoltava la prima stesura di una scena che avevo scritto commentando: “Tagliatella, dov’è il buffo?” oppure “Ma vuoi fare il cinema o il teatro?” dopo che avevo letto un atto dove c’erano oltre trenta cambi di scena.
Il primo atto di “Billy e Pu(p)pe” fu scritto quasi di getto da me e da Paolo Pin nel ’97 ma dovette attendere un altro anno prima di essere messo in scena perché a quella fu preferita l’operetta sui pirati. Nel ’98 portammo a termine l’operazione con l’aiuto di Andrea Marroni e di Giovanni e Paolo Mazzini. Era l’anno di Batman (non il supereroe ma un montepaschino che si era esibito in evoluzioni sessuali mascherate precipitando dall’armadio su di un comodino e restando svenuto di fronte all’amante legata al letto che non aveva possibilità di movimento e di soccorso). Alla fine di una storia articolata con delle situazioni teatrali molto buffe, l’operetta si concludeva con l’entrata di Batman (un mitico Giulio Griccioli che ancora non era decollato nella carriera di allenatore). L’ultima battuta, rivolta al Batman sdraiato a terra esanime da quello che era il mio personaggio, era: “Sta comodo?” e lui: “Ora comodo; ….comodino!”
Il Jackyll invece lo scrissi quasi completamente da solo. Alla prima lettura gli studenti e il principe si divertirono un mondo, soprattutto Provenzano Carignani che svolgeva la funzione di “pubblico medio” e che rideva a crepapelle.
La storia dello scienziato che a cinquanta anni non aveva ancora visto l’organo sessuale femminile (Po-Po-Po Ta-Ta-Ta) e che per questo aveva deciso di inventarsela da solo, era chiaramente una parodia che fu arricchita nel finale dalla trasformazione del dottore in un essere che potesse piacere alla ragazze: un giocatore del Siena. Il sabato dell’operetta coincideva con la vigilia della promozione in serie B del Siena. Sembrano passati dei secoli. Mi divertii come un matto insieme al pubblico quando, vestito con un’improbabile maglia a strisce bianche e nere (che certo non esaltava le mie forme) davo l’attacco al teatro che intonava i cori della curva della Robur.

L’Operetta del 2016 è nata invece una mattina presto. Ero appena uscito dalla palestra dove avevo fatto due addominali e una flessione di numero. Sudatissimo chiamai il Principe Edoardo Conticini e gli dissi che secondo me si poteva raccontare la storia di Galileo Galilei ambientandola a Siena. Il fatto era che Galileo aveva scoperto che non era il mondo a girare intorno a Siena ma l’esatto contrario. Per questo l’inquisizione, fatta di benpensanti e ottusi senesoni lo voleva mandare al rogo.

Il Principe convocò subito il conclave degli scrittoroni che, dopo diverse cene giunsero alla conclusione che forse sì, quella proposta dal Taglia si poteva fare. La scrittura fu affidata a Andrea Berni con io che facevo da scrittore anziano, la regia al granitico Luca Virgili “Fresco”. Fu un successo. E il titolo: “Eppur si muove”, l’ho sempre visto come un’allegorica rappresentazione di un cuore che si è dimenticato di dover battere. Il cuore di una città che amiamo da morire.

Effettivamente scrivere l’operetta è l’esatto contrario del sesso. Ma c’è una cosa che invece è proprio identica: quando non lo fai più ci sformi come una bestia. E ogni volta che ti capita di rifarlo ti senti di nuovo giovane.

Foto scattata dal sottoscritto dal palchetto della regia al Teatro dei Rozzi. Operetta 2016, Eppur si muove.

mattaglia

Roby, il Giullare di Siena (ricordo di un amico)

La dannazione di chi, come me, è figlio unico, è quella di passare la vita a cercare dei fratelli. Il vantaggio è quello che, in questo caso, puoi permetterti di scegliere. Pensate ad Abele quanto avrebbe preferito essere figlio unico o la nostra senesissima Santa Caterina, 25esima di 26, tra fratelli e sorelle. Molto meglio stare tra i lebbrosi che in una casa coi letti a castello a dieci piani, direi.

Io nel corso della mia vita, di fratelli e sorelle, ne ho trovati alcuni. E li ho scelti con attenzione.

Uno di questi si chiamava Roberto Ricci. Ma tutti lo chiamavano Roby. Per un bel po’ siamo stati dei gemelli diversi. Diversi per età, lui era molto più grande e io ero quello più adulto. Diversi per talento: lui aveva una voce che copriva un’estensione da Mina a Mario Biondi, io invece mi diverto a giocherellare con le parole, ma quelle scritte. Eravamo diversi anche per aspetto fisico: lui alto, bello e di gentile aspetto, io no.

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Quando sono nato, lui aveva già l’età del motorino ma progressivamente ci siamo ritrovati ad essere coetanei. Non so se ho corso troppo io o se si è fermato lui ad aspettarmi. Il fatto è che, in una città come la nostra, è possibile anche questo. A Siena coetanei si diventa. Basta condividere qualcosa di grande come le passioni. Per noi le passioni comuni erano la Contrada (l’Aquila), le Feriae Matriculaum e la voglia di fare divertire gli altri.

Roby aveva una caratteristica che nessuno in questa città riesce ad avere. Era un giullare. A chi come me per passione e anche per lavoro, racconta storie, è noto che negli archetipi della narrazione esistono molte figure che creano un percorso che è possibile ritrovare in ogni storia, dall’Odissea al Signore degli Anelli, passando per Pinocchio. Si chiama “Il viaggio dell’Eroe” e può essere raffigurato come un cerchio. Anche la nostra vita funziona e si sviluppa più o meno così. Si parte dal primo ruolo: “il bambino innocente”, e dopo una serie di prove, e passando di ruolo in ruolo (l’orfano, il guerriero, l’esploratore, ecc.), si arriva alla matura padronanza di se stessi nel ruolo di “re”. Molti si fermano qui e vedono in quel punto di arrivo un vero e proprio successo: l’età della pensione di chi ha già dato tutto e ora può governare il tempo che gli resta da vivere. Poi ci sono alcuni che vanno oltre. E qui c’è la dodicesima figura, il dodicesimo archetipo narrativo: “il Matto”, “il Giullare”. Quello che la società tende a spingere il più lontano possibile, ma che il Re vuole sempre vicino a sé perché gli ricorda come si dovrebbe vivere davvero.

Se si disegna il viaggio dell’eroe come un cerchio che parte dall’innocenza dell’infante e termina nella padronanza di se stessi del Re, il Giullare si posiziona proprio lì, tra il Re e il Bambino. La consapevolezza e l’innocenza che si mescolano come nitro e glicerina, pronti ad esplodere.

E Roby si era, non so quanto scientemente, posizionato proprio lì. Il suo cappello a sonagli erano la sua chitarra e la sua voce ma i meccanismi giullareschi li aveva reinterpretati a suo modo e li padroneggiava. Non c’è un senese, o uno studente fuori sede che abbia vissuto a Siena tra il 1980 e il 2012 che non abbia ballato o riso o che non abbia sentito il grido di incitamento “a bolloreeeee!!!”.

Il “Menestrello” che dalla radio derideva in rima presidenti e giocatori del Siena, o il “Chicchero” (il termine senese per dire appunto “Giullare”) che si prendeva gioco del Sindaco, del Rettore, o dell’Arcirozzo di turno che lo invitavano a suonare ai loro pranzi e alle loro cene.

Roby è stato un Rigoletto senza gobba, che veniva chiamato in virtù del proprio talento da chi da lui temeva (e contemporaneamente desiderava) farsi sbeffeggiare. Mi ricordo passeggiate per il Corso dove si inchinava a signore ingioiellate e, con le movenze di un Arlecchino, le apostrofava con “Signora Taldeitali, anche oggi sembra un lampadario”, e giù risate. Oppure, al decrepito professorone: “Dottor Tizio, si rizza sempre? Non mi faccia stare in pensiero”. In rarissimi casi ho visto qualcuno risentirsi o offendersi, al massimo provavano invano a zittirlo con un: “Roby!!!”. Anche nelle commedie di Shakespeare, chi non veniva preso di mira dal Saltimbanco, si risentiva, perché non si sentiva importante al pari degli altri.

Roberto è forse la migliore espressione di questa polverosa città borghese, con il cappotto color cammello che odora di naftalina. Lui li chiamava “gli impagliati”. La migliore espressione perché sapeva che (citando una canzone della sua Operetta) “la libertà è un cavallo che scalpita in ogni cuore, anche in quello più timido”. E la sua manifestazione di libertà è stata quella di scegliere se diventare un divo che fugge via da qui, o un giullare che resta.

Alla stessa distanza dai potenti come dai bambini. In perfetto equilibrio tra il potere e l’innocenza. E forse è proprio per questo che, tra le migliaia di persone che lo hanno pianto il giorno del suo funerale, c’erano Sindaci, Rettori, Arcirozzi, Studenti, i suoi amici fraterni e tanti, tanti bambini. E ogni lacrima aveva lo stesso sapore. Quello del dolore di aver perduto per sempre l’unico Giullare di Siena.