Articoli

Mipiacisti

Mipiacisti: quelli che ti mettono like

Siamo tutti diventati mipiacisti.

È l’urgenza che abbiamo di ricordare agli altri della nostra permanenza in vita. “Guarda che esisto ancora!”. Come se agli altri importasse qualcosa.

Su Facebook c’è il mipiacista deferente, che mette “mi piace” sempre e solo al datore di lavoro o a un immediato superiore; il mipiacista complulsivo, che ogni volta che entra nel tuo profilo mette “mi piace” a tutte le tue 3000 nuove pubblicazioni intasandoti con le relative notifiche;

il mipiacista che non volevi incontrare, quello che si insinua con “mi piace” e commento in un post che avevi scritto per tutti meno che per lui;

il mipiacista minaccioso, quello che quando mette “mi piace” è per dirti: “occhio, che ti sto osservando”;

il mipiacista stalker, che ti segue come un incubo, qualsiasi cosa tu scriva;

il mipiacista asincrono, che voleva mettere “mi piace” al post che scrivesti due giorni fa ma siccome non lo ritrova, mette “mi piace” al primo dei tuoi post che gli capita;

il mipiacista autocompiacente, che mette “mi piace” solo ai propri post;

il mipiacista menzognero, che se mette “mi piace” vuol dire che non gli piace;

il mipiacista insonne, che mette “mi piace” dalle tre di notte in poi.

Poi ci sono io, che quando su Facebook metto “mi piace”, semplicemente vuol dire che mi piace.

nativo-digitale

Lettera aperta ad un nativo digitale

Caro fratello più piccolo,

c’è stato un tempo in cui le foto te le facevano gli altri. Un tempo in cui i numeri degli amici dovevi impararli a memoria. Un tempo in cui le cene si organizzavano anche alla zitta e il giorno dopo non lo sapevano tutti. Un tempo in cui i polemici se volevi li evitavi, bastava spostarsi. Un tempo in cui avevi solo 36 foto a disposizione e se erano venute bene, lo sapevi dopo due giorni. Un tempo in cui se un amico andava a stare a Milano non lo sentivi più. Un tempo in cui una quarantacinquenne non era una milf ma una “tardona”. Un tempo in cui Youporn era la pagina dei reggiseni del catalogo Postalmarket. Un tempo in cui la videochiamata era affacciarsi alla finestra. Un tempo in cui i calciatori giocavano solo a calcio. Un tempo in cui le notizie le sapevi per cena. Un tempo in cui i tuoi amici non erano mille. Un tempo in cui nessuno ti seguiva. Un tempo in cui, se ti perdevi, la strada dovevi trovarla chiedendo indicazioni agli altri. Un tempo in cui un gettone telefonico valeva 200 lire e 200 lire valevano quattro pacchetti di figurine. Un tempo in cui per sapere una cosa dovevi riempire un foglio di carta e aspettare i comodi del bibliotecario. Un tempo in cui le persone famose se lo meritavano. Un tempo in cui la Nonna non si filmava mentre faceva il sugo. Un tempo in cui tu non eri nato e io pensavo che il mondo avrebbe continuato a migliorare. Un tempo in cui avevo più certezze di quante non ne abbia ora. Un tempo in cui, quando scrivevo, mi ricordavo di essere mancino. Un tempo in cui la notte riuscivo a dormire bene.
Ti voglio bene, fratellino. Anzi, ti lovvo.

 

L’immagine è del pittore Joel Rea. Potete vedere altri suoi lavori qui.