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Carlino Carlo castellani

Carlino, il Re delle Linguacce

Per quanto possa essere bravo a recitare, un goliardo vero la parte del goliardo non la recita mai. Lo è e basta, fino all’ultimo. Carlo Castellani detto Carlino, la Goliardia ce l’aveva dentro con tutti i suoi colori: la comicità, la buffezza, l’ironia, il romanticismo, il sarcasmo, il cinismo, il gusto per la risata facilissima e per quella altamente sofisticata, la modernità e il classicismo, il rock, il rap, il jazz e lo swing, il buon gusto e il disgusto.
Una persona composta da sfaccettature così antitetiche che anche i suoi incisivi andavano uno da una parte e uno dall’altra.

Se è stato il tuo regista non puoi non ricordare il ritorno a casa dopo i ritrovi a scrivere: mentre ti toglievi il maglione per andare a letto, sentivi l’odore di un incendio in tabaccheria. Me non puoi dimenticare le risate che si facevano a vederlo spiegarti tutti i personaggi, fatti da lui che aveva una mimica da saltimbanco della commedia dell’arte. Totò, Dario Fo e Crozza messi insieme ma senza la spocchia di un premio Nobel o di un attore strapagato.

Quando andò in pensione pubblicò una foto su Facebook mentre timbrava il suo ultimo cartellino in mutande: era la sua parodia di quei furbetti che lo facevano a Sanremo senza scherzare.
Lo trovai alcuni giorni dopo e mi disse: “Te lo immagini, ora mi danno lo stipendio per non fare una sega…”
La sua nuova condizione di pensionato non lo convinceva mica tanto. Piuttosto che invecchiare è meglio perfino andare a lavoro, pensa un po’.
Per uno che ha macinato serate a fare tardi una dietro l’altra, come fossero sigarette, dover smettere di fumare è un bel contrappasso.

Lo abbiamo brontolato quando è venuto a vedere le prove dell’ultima operetta di quei rincoglioniti di dottori. Ha dato due boccate e qualcuno, saggiamente, gli ha detto: “O Carlino, ma allora non ti vuoi rassegnare a non morì…”
Lui ha fatto una risata, ha spento la sigaretta e ha cambiato discorso: “Fatemi vedè questa scena, vai…”
Quando muore un goliardo non dovete piangere per lui. Se era un goliardo, la Vita l’ha rigirata come un calzino. E se l’è goduta boccata dopo boccata. Semmai piangete per voi stessi che lo avete perso.
“O Carlino, dai retta, come hai fatto hai fatto bene!”.

Grazie per tutte le linguacce che ci hai lasciato in eredità.

Tuo, Tagliatella

PS. Un grande abbraccio a Martino

una città di scienziati

Il ritorno dello Jackyill

Era il mio ultimo anno di università quando mi inventai “Lo strano coso del Dottor Jackyill”: l’operetta voluta dal Principe Carlino Pini per il glorioso anno goliardico 2000. La regia era di Luca Virgili (noto per il grande, grandissimo pubblico come Fresco). Le canzoni di Francesco Marchetti (Sogliola) e Carlo Lorenzini (Buzzo). Tra tutte le canzoni spicca sicuramente il Mascara, cantata egregiamente da Bubba e Nix, oggi rispettivamente professore di lettere e dentista. La strana fissa del Dottor Jacyill era inventare una cosa che, arrivato alla tenera età di 50 anni non aveva mai visto, neppure dipinta. E così si dipanavano due ore di battute tra crisi di nervi, Regine d’Inghilterra, guerrieri Maori, guardie di Buckingham Palace e mostri vari.
Molti sostengono, con buona ragione, che ogni cosa abbia il suo tempo. E spesso sono d’accordo anche io. Però, quando mi è stato chiesto di riportare una scena del Jackyill sul palco dei Rozzi, all’interno dell’Operetta “Una città di scienziati”, non c’ho pensato un attimo a non dire di sì.

I motivi sono molti: il primo è perché ritrovare in scena amici che si erano allontanati per vari motivi della vita, è ganzissimo. Secondo perché rivedendo alcune scene abbiamo riscoperto che erano buffe per davvero, terzo, perché invecchiare, ve lo giuro, è una gran cacata e a noi non ci garba.

State tranquilli, io e Rotolone non siamo mai in scena insieme per cui il palco reggerà. Ci saranno anche il Mascara e canzoni anche più belle di altre operette. Il bollore sale.

“Una città di scienziati” è una raccolta di molte scene tratte da varie operette che mostrano la capacità dei goliardi senesi di prendere in giro il potere di turno in città.

Se non avete di meglio da fare (anche perché non c’è niente di meglio da fare) saremo in scena il 25 e 26 novembre prossimi. E non ci sarà solo Jackyill, ci saranno tanti personaggi delle operette dal 2000 a oggi, interpretate da dottori e studenti insieme. I biglietti rimasti per vedere le due rappresentazioni di “Una città di scienziati” sono pochi, quelli che ci sono li trovate dal Nannini tutti i giorni dalle 12.30 alle 13.30 e dalle 19.30 alle 20.30.

Noi ci si sta divertendo. Se volete, potete farlo anche voi.

PS: Le Ferie sono e rimarranno degli studenti. Dottori, culo! Compreso Jackyill.

In testata la locandina dell’Operetta è opera di Mido

Operetta 2016

Scrivere un’Operetta

Scrivere un’operetta è l’esatto contrario del sesso: vorresti arrivare alla fine il prima possibile e poi, quando stai per finire ti dispiace. Per quanto mi riguarda, il mio passaggio nel meraviglioso mondo delle Feriae ha coinciso esattamente con la mia partecipazione alla scrittura di ben cinque operette (un’altra ho contribuito a scriverla nel 2016). Sicuramente le due che sento più mie e delle quali vado maggiormente fiero sono “Billy e Pup(p)e” e “Lo strano coso del Dr Jackyll”. Si potrebbero raccontare decine di aneddoti che riguardano le due operette. Più di tutti mi piace ricordare la cenere mai scozzolata che restava attaccata alla sigaretta di Giorgino De Sanctis fino al momento in cui la forza di gravità non la faceva atterrare sulla sua pancia. Lo stesso Giorgino, con un’aria imperscrutabile ascoltava la prima stesura di una scena che avevo scritto commentando: “Tagliatella, dov’è il buffo?” oppure “Ma vuoi fare il cinema o il teatro?” dopo che avevo letto un atto dove c’erano oltre trenta cambi di scena.
Il primo atto di “Billy e Pu(p)pe” fu scritto quasi di getto da me e da Paolo Pin nel ’97 ma dovette attendere un altro anno prima di essere messo in scena perché a quella fu preferita l’operetta sui pirati. Nel ’98 portammo a termine l’operazione con l’aiuto di Andrea Marroni e di Giovanni e Paolo Mazzini. Era l’anno di Batman (non il supereroe ma un montepaschino che si era esibito in evoluzioni sessuali mascherate precipitando dall’armadio su di un comodino e restando svenuto di fronte all’amante legata al letto che non aveva possibilità di movimento e di soccorso). Alla fine di una storia articolata con delle situazioni teatrali molto buffe, l’operetta si concludeva con l’entrata di Batman (un mitico Giulio Griccioli che ancora non era decollato nella carriera di allenatore). L’ultima battuta, rivolta al Batman sdraiato a terra esanime da quello che era il mio personaggio, era: “Sta comodo?” e lui: “Ora comodo; ….comodino!”
Il Jackyll invece lo scrissi quasi completamente da solo. Alla prima lettura gli studenti e il principe si divertirono un mondo, soprattutto Provenzano Carignani che svolgeva la funzione di “pubblico medio” e che rideva a crepapelle.
La storia dello scienziato che a cinquanta anni non aveva ancora visto l’organo sessuale femminile (Po-Po-Po Ta-Ta-Ta) e che per questo aveva deciso di inventarsela da solo, era chiaramente una parodia che fu arricchita nel finale dalla trasformazione del dottore in un essere che potesse piacere alla ragazze: un giocatore del Siena. Il sabato dell’operetta coincideva con la vigilia della promozione in serie B del Siena. Sembrano passati dei secoli. Mi divertii come un matto insieme al pubblico quando, vestito con un’improbabile maglia a strisce bianche e nere (che certo non esaltava le mie forme) davo l’attacco al teatro che intonava i cori della curva della Robur.

L’Operetta del 2016 è nata invece una mattina presto. Ero appena uscito dalla palestra dove avevo fatto due addominali e una flessione di numero. Sudatissimo chiamai il Principe Edoardo Conticini e gli dissi che secondo me si poteva raccontare la storia di Galileo Galilei ambientandola a Siena. Il fatto era che Galileo aveva scoperto che non era il mondo a girare intorno a Siena ma l’esatto contrario. Per questo l’inquisizione, fatta di benpensanti e ottusi senesoni lo voleva mandare al rogo.

Il Principe convocò subito il conclave degli scrittoroni che, dopo diverse cene giunsero alla conclusione che forse sì, quella proposta dal Taglia si poteva fare. La scrittura fu affidata a Andrea Berni con io che facevo da scrittore anziano, la regia al granitico Luca Virgili “Fresco”. Fu un successo. E il titolo: “Eppur si muove”, l’ho sempre visto come un’allegorica rappresentazione di un cuore che si è dimenticato di dover battere. Il cuore di una città che amiamo da morire.

Effettivamente scrivere l’operetta è l’esatto contrario del sesso. Ma c’è una cosa che invece è proprio identica: quando non lo fai più ci sformi come una bestia. E ogni volta che ti capita di rifarlo ti senti di nuovo giovane.

Foto scattata dal sottoscritto dal palchetto della regia al Teatro dei Rozzi. Operetta 2016, Eppur si muove.