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torre del mangia in fiamme

Con il tuo telefono hai ucciso la Notte del Palio

La notte del Palio mi sono accorto di avere in tasca un’arma ancora calda e fumante: il mio telefonino che costa più di un motorino. Con quell’arma abbiamo fatto come sull’Orient Express e, tutti insieme, noi senesi, abbiamo ammazzato la Notte del Palio. Non ce ne siamo mica accorti, mica volevamo farle del male; ma è andata così, l’abbiamo uccisa. Abbiamo ucciso il gusto di prendersi in giro senza ostentarlo. Se l’Avversaria aveva perso ci si ingegnava per far trovare uno scherzetto studiato nottetempo da un commando di pochi arditi che, se chiappati con le mani nell’uva, rischiavano due manate fatte bene. E poi, il giorno dopo, il Priore si scervellava per capire chi era stato; e chi faceva la spia era una merda.

Ora no, ora ci facciamo tutti il selfie della derisione, consci del fatto che “tanto che vuoi che sia”, mica ti succederà niente. Siamo tutti eroi a bassissimo costo e a bassissima soddisfazione. Vogliamo tutti essere protagonisti senza renderci conto che così diventiamo tutti delle comparse. E forse è per questo che in comparsa non c’è più la fila per entrarci, perché lo siamo di già tutti i giorni.

Abbiamo ucciso il chiacchiericcio, il sussurro, il mormorio che di notte circolava su mitiche seggiolate tra gente della stessa contrada o di un’improbabile fogata al capitano ripurgato. Ora abbiamo una trentina di inquadrature che ci mostrano tutte le nostre miserie. Pensate se fosse stato possibile mettere una webcam tra i trecento di Leonida, quanta poesia avremmo perso nel vedere quello che si ringuattava dietro quell’altro, o quello che girava il culo e se ne andava via per salvare la pelle. Il Palio raccontato era epico, magari un po’ spaccone, forse un pochino bugiardo, ma ora con i nostri telefonini rischiamo di farlo diventare realmente ridicolo. “Ma l’hai visto il Vicario della Spadaforte che sbornia aveva il 14 sera? Badalo qui, te l’ho mandato su uozzap!”, “Il vicebarbaresco della Vipera ha dato una lacca al cavallo, l’ho visto su iutub!”, “O ragazzi,  ho trovato la figliola del Capitano dell’Orso su Porhub!”. 

L’abbiamo uccisa quella serie di farfalle che si liberavano nel nostro stomaco quando se ne andava l’ansia di una purga certa. Quando si correva in Piazza per vedere le pignattelle accese sopra i palazzi che si potevano vedere solo la notte del Palio. E se eri in Piazza la notte del Palio, voleva dire che era andata bene, oppure benissimo; perché se non era andata bene eri a letto. E non potevi restare tutta la notte sveglio a guardare i selfie dei tuoi amici che prendevano in giro la rivale. Eri a letto e basta.

Ti ricordi che c’è stato un tempo in cui avevamo le tasche più leggere e se facevamo tardi non era facile avvertire? E se non avvertivi ne buscavi. E se ne buscavi, pazienza. 

C’è stato un tempo senza telefono in tasca, e con un  gettone della SIP non si potevano scattare fotografie o fare i filmini. Era il tempo in cui eravamo giovani, e la notte del Palio, se era andata bene, si arrivava a vedere l’alba. E la si guardava dritta con gli occhi, non con un telefono in mezzo.

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2018: Fuga dai Social Network

Alcune ere geologiche fa, ebbi modo di parlare con un vecchio direttore creativo della Milano da Bere. Con una voce catarrosa mi disse una verità che presi come oro colato e che, con le dovute eccezioni, ho fatto mia fino all’avvento di Facebook: “quando parli con un cliente, tieniti alla larga da questi tre argomenti: la politica, la religione, il calcio. Rischi di pestare una merda ogni volta che apri bocca.”

Aveva ragione.

Il problema è che, sui social, i tre argomenti di cui tutti parlano ogni giorno sono la politica, la religione e il calcio. Forse è per questo che Facebook & Co sono diventati luoghi dove si litiga più che discutere, perché nessuno ha la minima voglia di spostarsi dalle proprie convinzioni, nessuno ha voglia di cambiare opinione. Così le nostre bacheche sono diventate un campo minato di cacche pestate su cui, ogni due per tre, qualcuno si fa esplodere.

Tra i buoni propositi del 2018 vorrei scappare da questa maledetta arena dove siamo tutti gladiatori senza averne il fisico.

Il 2018 sarà un anno in cui la politica sarà una quotidiana “partita a scracchi” (nel senso di gente che si sputa in faccia veleno ogni santo giorno). A livello nazionale e a livello locale, vorrei evitare di beccarmi uno sputazzo vagante in un occhio. Per cui, ci si vede a votare il giorno delle elezioni.

Il 2018 sarà anche l’anno in cui la religione sarà usata contro chi ci crede e anche contro a chi non ci crede.La tentazione di infilarsi in qualche polemica sarebbe forte ma figuratevi se mi voglio mettere a pensare a chi può avere ragione tra Papa Francesco e Socci. Libera nos a maloox.

Il 2018 sarà anche l’anno in cui la Nazionale non andrà ai Mondiali. Non mi vorrei trovare a difendere dei giocatori superpagati che, in un gioco dove si può vincere o perdere, hanno perso. Sarei sicuramente dalla parte dei perdenti ma, con il conto corrente in rosso, mi scoccerebbe schierarmi con l’oro.

La scelta migliore sarebbe quella di evadere, di ricominciare a fare, nelle pause, le parole crociate senza schema; sulla tazza del bagno leggere un capitolo di un romanzo, guardare un film sul divano senza sbirciare cosa hanno detto i miei amici social. Invece avrò sempre in mano il telefonino, che dovrò controllare come un figliolo che gattona.

Come tutti i buoni propositi so bene che non ce la farò. Che litigherò con un candidato Sindaco, che imbastirò una crociata contro i cattofanatici che mescoleranno Isis, immigrazione e religione, che mi beccherò l’anatema di chi voleva vedere correre Immobile.

Aveva ragione quel vecchio direttore creativo, sarebbe meglio non toccare questi tre argomenti. Ma la Milano da Bere è morta e sepolta, sotto uno scroscio di “mi piace”. E un po’ mi dispiace.

Estate inverno

Notizia shock: d’estate fa caldo, d’inverno fa freddo.

Non ho mai compreso, ma forse un giorno mi potrete illuminare, il motivo di questa moderna necessità di esternare cose lapalissianamente lapalissiane. La notizia del giorno è che oggi fa freddo, lo avevano detto gli esperti del meteo e anche il calendario poteva darci una mano a capirlo, dal momento che siamo al 7 di gennaio. Eppure vedo molti amici che postano su Facebook la notizia imprevista che fuori si agganghisce, con dovizia di foto del termometro dell’auto, selfie col berretto, il manicotto e i guanti.

Facebook ha tante facce, ma quella della pubblicazione dell’ovvietà ë tra quelle che, per antitesi, mi lascia maggiormente stupito. Il 5 agosto ci direte che fa caldo, vi dividerete in caldisti e diaccisti, litigherete su una veritá che tutti conoscono. Oppure a marzo commenterete la bomba d’acqua pronosticata da giorni con un: “Mira come viene!”.
Ci lascerete senza parole quando ci farete vedere che anche quest’anno, il 26 giugno c’è già la terra in Piazza, evento che, a sorpresa, si ripeterà verso il 10 agosto. Passare un altro anno imprevedibile sui social con voi sarà una scoperta dopo l’altra e quando accadrà una nevicata a luglio non sapremo più cosa dire per sorprenderci.

Ps. Non vorrei spoilerarvi ma pare che il 21 marzo, inizierà la primavera. Segnatevelo da qualche parte e ricordatecelo quel giorno.

parlare

L’Urgenza del Parlare (a vanvera)

Siamo tutti ammalati. La malattia ce l’ha attaccata un ragazzo di nome Marco. Marco Zuckerberg. Ci ha messo in mano un megafono e ci è esploso come un giocattolo bomba. E tutti noi, con le mani a brandelli e con la faccia bruciacchiata non ce la facciamo, dobbiamo parlare. Dobbiamo postare. In sette o otto anni abbiamo sfanculato quelle cose che le nostre nonne ci avevano insegnato sventolandoci per un orecchio: la moderazione, la mediazione, la buona creanza, la buona educazione, il buon gusto. Tutta colpa di Marchino e del suo megafono esplosivo. La nonna ci aveva insegnato faticosamente a contare fino a dieci prima di parlare e Marco ci ha messo il tasto “Pubblica” che lampeggia quando arrivi a contare il due.

Erano risusciti a farci capire che non si parla prima che il nostro interlocutore abbia finito e ci hanno tirato fuori WhatsApp dove si conversa in gruppo ma ognuno segue il suo filo.

Cosicché un amico dice: “Avete saputo di Marta?” mentre un altro propone: “Pizzino stasera?” e un altro ancora esordisce con: “Quanto costa il Cinema in Fortezza?”. In questo modo viene fuori che Marta la chiamavano Jeeg Robot e il cinema costa come una pizza quattro stagioni più birra artigianale, la quale birra, tuttavia, è incinta di Sergio, uno dei fratelli Vanzina.

Il social ci sta dando armi per diventare isole che ascoltano solo se stesse. Che c’entra, siamo tutti iperinformati in tempo reale di quello che accade dall’altra parte del mondo e perfino nella casa accanto. Anche se conosciamo per filo e per segno l’altra parte del mondo (l’abbiamo vista su Instagram) e non ci salutiamo col vicino di pianerottolo. La gente parla con quei tre o quattrocento amici al giorno che per non fare sentire soli, chiami anche la notte alle tre, quando sarebbe giusto essere mandati a quel paese da chi ti fa vibrare il cellulare mentre sei in piena fase rem. O magari, quando finalmente, dopo tanto penare l’avevi chiesta e ottenuta.

Ma la cosa più atroce è l’urgenza del parlare. Ci avevano abituati ad aprire bocca solo se avevamo qualcosa di intelligente da dire. Ma niente, è saltato per aria anche questo. Dobbiamo dire per forza qualcosa, basta sia, altrimenti abbiamo paura che la prossima volta che ci guarderemo allo specchio non ci troveremo niente. E nel parlare per forza, per forza spesso si parla a vanvera, tanto per dire.

C’è chi commenta tutto. E chi critica tutto. C’è chi si lamenta di tutto e chi mette mi piace a tutto. Tutto. O niente. Meglio tutto. Meglio di niente.

Ognuno si sente contemporaneamente edotto ed autorizzato a dire la sua verità che, provenendo dal tamburellare sulla tastiera da parte di un luminare, è certamente e incontrovertibilmente, una verità assoluta.

Io ad esempio quando ho iniziato a scrivere questo post avevo qualcosa di intelligente da dire, ve lo giuro, ma l’ho dimenticata. Nel frattempo però ho fatto tre altri post del blog, quattro post su facebook e sei su Instagram. Su Twitter no, Twitter è morto. O è malato grave. Meglio Snapchat. Però poi dopo poco quello che dici scompare. Che forse non è mica un male. Forse. Boh? Condividi? Dai, condividi. Anche se non condividi, condividimelo, ti prego, fallo per me…

Vabbè dai, ora mi zitto. Per qualche ora. Anzi, no, mi è venuta una cosa ganzissima da dire. Ci vediamo su Facebook. Un post solo e poi smetto. Ma questo lo posto. Sì sì, questo lo posto. Alla zitta.

 

L’immagine è opera dell’illustratore Eiko Ojala. Potete trovare altri suoi capolavori qui: https://www.behance.net/eiko o qui: http://ploom.tv

disturbi

Disturbi alimentari di menti disturbate

Amico di facebook che condividi notizie infauste per togliermi l’appetito; i disturbi alimentari me li fai venire te!

La Mozzarella di Bufala è meglio di no? Mi disturbi!
Mi vuoi convincere che chi mangia solo verdure è più bravo di chi mangia un agnello? Mi disturbi!
Mi vuoi togliere le salcicce, il buristo e il rigatino? Mi disturbi!
La mucca è pazza? Mi disturbi!
La fiorentina mi uccide? Mi disturbi!
Mi dici che salmone c’ha il mercurio? Mi disturbi!
Il pollo c’ha gli ormoni? Mi disturbi!
Il vino bianco fa male? Mi disturbi!
Nella cioccolata c’è troppo burro di cacao, la pizza è bruciacchiata, lo zucchero è veleno? Mi disturbi!
Per favore, non voglio essere disturbato. Lo sono già di mio.
Prima o poi moriró. E anche te. Te lo giuro.

zoocial

Zoocial network (10 animali social)

Lavorare nei “zoocial” è bestiale! Se Facebook fosse uno zoo sarebbe molto divertente abbinare ai comportamenti degli utenti, osservazioni etologiche da documentario di Superquark. E tu quanti animali conosci?

1) Il Canide: amico fedele che scodinzola mettendo “mi piace” ogni volta che posti qualcosa. Puoi scioglierlo contro i tuoi haters, verso i quali abbaierà fedelmente.
2) La Moschina Fastidiosa: noioso essere che ti devasta gli zebedei con inviti a giochini di merda.
3) Lo Sciacallo: questuante bulimico di like, ottenuti condividendo disgrazie tra le più disparate. E disperate. Meglio se capitate a bambini.
4) La Volpe: sa come gira il mondo e furbescamente fa il pieno di like a ogni post. Sa usare gli ‪#‎hashtagghe, soprattutto in politica.‬
5) Il Pavone: l’amico vanitoso che posta selfie con la bocca a culo di gallina.
6) Il Gufo: l’amico a conoscenza di tutte le teorie del complotto che ti toglie il sonno prevedendo e preannunciando catastrofi imminenti. Porta male.
7) Il Coccodrillo: piange pubblicamente quando muore qualcuno che magari non salutava neanche.
8) La Nana Berciona: ce l’ha con tutti e lo fa sapere a tutti.
9) Il Canguro: posta a raffica saltando di palo in frasca.
10) Il Verme: ti saluta sui social e ti ignora per la strada.

 

Ps. La foto è ripresa dalla campagna della compagnia telefonica ucraina Kyivstar, agency Leo Burnett.